
A cura dell’Avv. Prof. Gianluca Ruggiero
Gli sviluppi dei mandati di arresto contro Benjamin Netanyahu e Vladimir Putin: crisi della Corte penale internazionale?
Il Primo Ministro israeliano Benjamin Netanyahu e il Presidente russo Vladimir Putin sono attualmente gli unici leader al mondo ad essere stati oggetto di un mandato di cattura spiccato dalla Corte penale internazionale, ma le autorità dei diversi Stati europei, che hanno accolto il mandato di arresto di Putin, hanno dichiarato che non daranno seguito a quello nei confronti di Netanyahu. È vero che la Corte ha equiparato Israele a Hamas? Gli Stati contraenti della CPI hanno il diritto di non applicare le sue decisioni, condizionando le indagini sui crimini di guerra in Ucraina e nella Striscia di Gaza?
La notizia del mandato d’arresto nei confronti Netanyahu ha provocato reazioni nettamente opposte nel mondo politico: taluno accusa la Corte di antisemitismo, di sostegno al terrorismo, di aver equiparato uno Stato democratico a un gruppo terroristico e allo “Stato aggressore Russia”; altri, invece, accolgono con favore la “decisione coraggiosa” di indagare sui crimini, indipendentemente da chi li ha commessi.
La Russia, dal canto suo, subito dopo la pubblicazione dei mandati, ha messo in pericolo l’incolumità dei funzionari stranieri e del personale della CPI. L’11 dicembre la Duma di Stato ha approvato in prima lettura una nuova bozza di articolo del Codice penale: la partecipazione, sul territorio nazionale, alle indagini della CPI sui crimini in Ucraina – dalle interviste di cittadini russi su Internet ai tentativi di “adescare russi per il successivo arresto all’estero” – verrò considerato spionaggio o passibile di condanna fino a cinque anni in una colonia penale. Per i cittadini russi, un articolo del genere è presente nel Codice penale da quasi due anni.
Netanyahu è diventato il quarto leader in carica di uno Stato nella storia ad essere destinatario di un mandato di arresto dalla Corte penale internazionale. Nel 2022 la Corte ne ha emesso uno nei confronti di Vladimir Putin, un altro nel 2011 per il leader libico Muammar Gheddafi (ucciso tre mesi dopo, il caso è stato chiuso) e nel 2009 per il presidente sudanese Omar Al-Bashir (che ha perso il potere dopo l’emissione del mandato).
I mandati d’arresto e le accuse poste a fondamento degli stessi possono essere resi noti dalla CPI in via del tutto discrezionale. A novembre, la Corte ha annunciato la decisione di arrestare Netanyahu, oltre all’ex ministro della Difesa israeliano Yoav Galant e al leader di Hamas Mohammed Deif, la cui morte in un attacco aereo a Gaza, riferita da Israele il 1° agosto scorso, non è mai stata confermata da altre fonti.
Netanyahu ha dichiarato che la richiesta di arresto “mina il diritto della democratica autodifesa” e ha definito la decisione della corte “antisemita”. Israele non è membro della CPI e ha già presentato obiezioni contro gli ordini di cattura, non ancora esaminate dalla corte.
I media e i social network esprimono spesso l’opinione che la decisione della CPI sia in realtà un mandato di arresto “contro Israele”. Gli Stati Uniti – che non hanno aderito al Trattato di Roma – stanno discutendo sull’imposizione di sanzioni contro la CPI per questa decisione. Tuttavia, il problema principale riposa sulle dichiarazioni inaspettate delle autorità di Francia, Italia e persino Paesi Bassi, dove ha sede la Corte penale internazionale, secondo cui Netanyahu può visitarli senza temere l’arresto.
La Palestina, il cui status è riconosciuto da 147 dei 193 Stati membri delle Nazioni Unite, è parte dello Statuto di Roma (il trattato che ha creato la Corte penale internazionale) e la Corte ha il diritto di giudicare i crimini commessi sul territorio palestinese o dai suoi cittadini in qualsiasi parte del mondo, compreso Israele. Ciò è stato confermato nel 2021 dai giudici della CPI su richiesta del procuratore (all’epoca la giurista gambiana Fatou Bensouda).
Come sarà Gaza dopo la guerra? La pace in Medio Oriente e lo Stato di Palestina sono possibili?
Non è necessario che Israele riconosca la giurisdizione della CPI sui territori palestinesi, dato che i crimini commessi dai palestinesi, militanti di Hamas, sono già sotto l’egida della Corte.
Anche una commissione di esperti appositamente istituita dal procuratore della Corte penale internazionale ha concordato sulla possibilità di emettere mandati per la situazione palestinese. La commissione comprendeva, ad esempio, l’avvocato israeliano e americano Theodor Meron, sopravvissuto all’Olocausto, ex consigliere del Ministero degli Esteri israeliano e presidente del Tribunale penale internazionale per l’ex Jugoslavia. Meron, specialista in diritto internazionale umanitario, già nel 1967, in un suo memorandum segreto indirizzato al primo ministro israeliano, aveva espresso la sua opinione sull’illegittimità degli insediamenti israeliani nei territori palestinesi occupati.
Inoltre, è stata sollevata la questione dell’accordo di pace israelo-palestinese firmato nel 1995 (il cosiddetto accordo “Oslo II”). Esso prevede che gli israeliani siano processati per i crimini commessi in territorio palestinese da un tribunale israeliano e non da un tribunale palestinese. La Gran Bretagna, che ha dato vita allo Stato di Israele nel 1948, ha chiesto alla Corte penale internazionale di chiarire se l’accordo interferisce con la sua giurisdizione su Netanyahu e Galant.
La Corte ha ricevuto più di 60 pareri da Stati, organizzazioni e accademici. I pareri però non sono concordi. Il professore canadese William Schabas (anch’egli discendente di vittime dell’Olocausto) si è espresso a favore della giurisdizione della CPI, opponendosi alla “visione coloniale” della situazione e suggerendo di aggiungere al mandato di arresto per i leader israeliani le accuse di genocidio e apartheid. Il Regno Unito, che all’epoca aveva cambiato governo, non ha mai presentato la sua posizione. Alcuni Stati, come la Germania, hanno insistito sul fatto che Israele ha un sistema giudiziario funzionante e che si sarebbe dovuto attendere che le questioni si risolvessero da sole, prima che il “fumo della guerra” si diradasse.
La Corte penale internazionale ha affermato la propria giurisdizione.
Secondo le regole dello Statuto di Roma, se Israele avesse indagato sugli stessi funzionari e sui fatti incriminati territori palestinesi, la CPI non sarebbe potuta intervenire o avrebbe dovuto abbandonare il caso (il cosiddetto principio di complementarità). Ma di tali indagini e processi in Israele non vi sono informazioni.
Cosa c’è scritto esattamente nei mandati di arresto per i leader di Israele e di Hamas?
I mandati sono stati emessi ma il loro testo non è stato pubblicato e il loro contenuto è noto solo grazie al comunicato stampa della CPI. Ciò significa che potrebbero esserci altri elementi di prova presi in considerazione dalla Corte per i crimini commessi nei territori palestinesi. Il processo penale è, tuttavia, possibile solo di persona.
Nel mandato di arresto per Mohammed Deif, ad esempio, la CPI ha concordato con il procuratore che il massacro di civili israeliani del 7 ottobre 2023 è stato uno sterminio, cioè un crimine contro l’umanità.
Secondo lo Statuto di Roma, lo “sterminio” è definito anche come la privazione intenzionale dell’accesso a cibo e medicine come parte dello sterminio di massa di un segmento della popolazione. Se non c’è una direzione inequivoca negli atti diretti ad uccidere le persone, “usare la fame” come metodo di guerra, privando i residenti dei beni di prima necessità e ostacolando l’assistenza umanitaria, ad esempio per spingere le persone fuori dal territorio, è un crimine di guerra. È di questo che la Corte penale internazionale ha accusato Netanyahu e Galant.
La Corte ha stabilito che, almeno dall’8 ottobre 2023 al 20 maggio 2024, Israele ha privato la popolazione civile di Gaza del cibo, dell’acqua, dei medicinali (compresi gli anestetici), del carburante e dell’elettricità necessari alla sopravvivenza. In questo modo Israele ha ostacolato i convogli umanitari e i suoi stessi aiuti umanitari sono stati dalla Corte ritenuti insufficienti.
Lo stesso Netanyahu, nelle sue dichiarazioni, ha collegato la sospensione dei rifornimenti essenziali e degli aiuti umanitari a scopi bellici. Il blocco totale della Striscia di Gaza è stato esplicitamente promesso dopo l’attacco di Hamas a Israele dal Ministro della Difesa Galant, che Netanyahu ha rimosso due settimane prima che la CPI emettesse i mandati. Detto questo Galant era considerato una delle voci moderate nel governo israeliano, ora dominato dall’estrema destra.
I mandati affermano che ogni soggetto è responsabile anche di altri reati. Deif è accusato di aver preso e continuato a tenere ostaggi e di averli trattati in modo inumano, compresa la violenza sessuale. Netanyahu e Gallant, secondo la Corte penale internazionale, dovrebbero essere ritenuti responsabili di omicidio, persecuzione e di almeno due attacchi deliberati dell’esercito israeliano contro civili palestinesi e che le autorità israeliane non hanno impedito, represso o indagato. La CPI non ha ancora reso noto a quali casi specifici si riferisca il mandato. Potrebbe trattarsi, ad esempio, di attacchi ai campi profughi.
Per il mandato, di fronte alle enormi pressioni politiche, i giudici hanno scelto le accuse per le quali esistono le prove più solide, la stessa logica con la quale è stato emesso il mandato di arresto contro Putin in relazione alla deportazione dei bambini ucraini.
L’argomento della legittima difesa di Israele
Molti israeliani ritengono che l’occupazione della Palestina non fosse illegittima – a differenza, ad esempio, dell’annessione della Crimea da parte della Russia. In effetti, in Palestina c’è stata una resistenza armata e diversi conflitti contro altri Stati – Egitto e Giordania – che hanno cercato di occuparne i territori. Israele sostiene, quindi, di averli occupati per autodifesa. Giuridicamente, però, questo argomento non ha molto peso per il mandato di arresto di Netanyahu: ciò di cui è accusato sarebbe un grave crimine internazionale anche se i territori appartenessero a Israele.
L’autodifesa per essere legittima deve soddisfare i parametri di necessità e di proporzionalità e la parte che si difende non può violare il diritto umanitario internazionale. La risposta alla resistenza di Hamas all’occupazione, con l’intento diretto di massacrare i civili israeliani, è stata quella di suscitare la commissione di altri crimini da parte israeliana, con un numero enorme di vittime civili nella Striscia di Gaza.
Il fatto che Hamas stia usando la popolazione di Gaza come scudo umano può essere considerato di per sé un crimine di guerra. Ma questo non rende l’intera Striscia di Gaza un obiettivo legittimamente aggredibile; così come i fatti di coinvolgimento dei civili nelle attività terroristiche non rendono tutti i palestinesi complici dei terroristi.
La retorica delle autorità israeliane sull’assenza di civili “innocenti” a Gaza è in realtà un pretesto per poter bombardare indiscriminatamente la striscia. Questa “punizione collettiva” – simile alla rappresaglia – è vietata dalle Convenzioni di Ginevra e, proprio come l’intimidazione e il terrore, è da ritenersi un crimine di guerra.
Nel frattempo, Israele è responsabile della protezione della popolazione dei territori palestinesi dal 1967, in quanto potenza occupante. Che il blocco e l’annessione de facto dei territori palestinesi siano illegali e che il controllo di Israele su Gaza sia un’occupazione vera e propria, è stato stabilito nel luglio 2024 in un parere consultivo su richiesta dell’Assemblea Generale delle Nazioni Unite da un altro tribunale, la Corte Internazionale di Giustizia delle Nazioni Unite. Questa Corte esamina le controversie tra gli Stati, compresa la causa del Sudafrica contro Israele per presunto genocidio.
I mandati della CPI non menzionano il genocidio, ma il 5 dicembre l’organizzazione per i diritti umani Amnesty International, in un rapporto intitolato “You Feel Inhuman”, ha chiesto al procuratore della CPI di aggiungere il presunto genocidio a Gaza all’elenco dei crimini oggetto di indagine. Gli autori del rapporto citano dichiarazioni di alti funzionari israeliani e registrazioni audio di soldati israeliani che chiedono che Gaza sia “spazzata via” o resa inabitabile, esaltando la distruzione di case, moschee, scuole e università palestinesi.
Il rapporto afferma che Israele ha spostato, con ordini di evacuazione, quasi 1,9 milioni di palestinesi, il 90% della popolazione di Gaza, in tratti di terra sempre più ristretti e insicuri, in condizioni disumane. Queste molteplici ondate di sfollamento forzato hanno lasciato molti senza lavoro e profondamente traumatizzati, soprattutto perché circa il 70% dei residenti di Gaza sono rifugiati o discendenti di rifugiati le cui città e villaggi sono stati ripuliti etnicamente da Israele durante la Nakba [catastrofe palestinese] del 1948.
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