Di Alessandro Mella
Furono mesi lunghissimi quelli che andarono dall’armistizio dell’8 settembre 1943 ai primi di maggio del 1945. Un lungo periodo oscuro pieno di paure, incertezze, violenza fisica, rancori ed odio.
Molti fecero fatica a scegliere da che parte del mondo stare, qualcuno non scelse ma fu travolto dagli eventi, per i più fu comunque terribile. Ognuno ebbe, in ogni caso, la sua motivazione e le proprie ragioni che per noi, cresciuti in clima libero e democratico, pare fin troppo facile giudicare. A quel tempo era più complesso e per questo occorre sforzarsi di capire i momenti, le circostanze ed i drammi che travolsero tutti e tutte.
Serafino Lucco Borlera era nato tra le casupole collinari di Val della Torre, in provincia di Torino, il 27 aprile 1901 figlio di Luigi. Tuttavia, si era poi trasferito a Rivoli dove aveva posto la sua residenza.
In giovane età si arruolò nei Reali Carabinieri iniziando una buona carriera che lo portò presto ad assumere incarichi di rilievo. Travolto, come tutti, dall’armistizio del 1943 decise di restare in servizio nei Carabinieri che, frattanto, erano stati accorpati dalle diffidenti autorità della Repubblica Sociale Italiana alla Guardia Nazionale Repubblicana.
A Castellamonte, ove prestava sevizio, il nostro si preoccupava più dell’ordine pubblico e di tutelare, per quanto possibile nel clima di crescente reciproca ostilità, il residuo quieto vivere della popolazione. Ma la casermetta, allora in provincia di Aosta, dei militi era de facto un obbiettivo della RSI per i combattenti della Resistenza ed avvenne il quindi fatto. Un importante gruppo di partigiani, pare comandati da Ferdinando Burlando detto “Diavolo Bianco”, attaccò la stazione tentando di imporre la resa ai militari i quali, invece, opposero una forte resistenza combattendo accanitamente, con una sparatoria così intensa che un partigiano, Daniele Menegaz, rimase mortalmente ferito. (1)
I carabinieri della GNR resistettero finché, esaurite le munizioni, dovettero arrendersi finendo per essere presi, in parte prigionieri, mentre materiali ed armi furono requisiti dai partigiani. Asportato quanto utile, la sede di servizio fu incendiata affinché non fosse possibile farne più uso ed i militi catturati furono portati via e condotti con la forza a Corio Canavese. Erano il nostro Serafino, Antonio Frescone o Frascone, Nereo Russo o Lusso, Pasquale Pacile o Pacili o Pacini ed Eldrado Marzo (purtroppo le fonti non concordano sempre con i cognomi). (2) Un sesto si salvò nascondendosi.
Fu la vedova Frescone che, piena di coraggio, scoprì l’infausta sorte dei quattro quando si recò tra Fiano e Corio in cerca di notizie scoprendo dai partigiani Maggi e Burlando della fucilazione di tutti i carabinieri catturati quale monito per chi avrebbe pensato ancora di poter resistere a queste azioni di guerra. (3)
Temporaneamente i caduti furono inumati a Corio ma presto le autorità fasciste repubblicane rinvennero i corpi:
A Corio Canavese rinvenuti corpi 5 Carabinieri Distaccamento di Castellamonte (Aosta) punto Medesimi assediati da bande di ribelli venivano catturati in Castellamonte dopo aver opposto strenua resistenza punto alt. (4)
Il giorno successivo anche il notiziario trasmesso al console Nicchiarelli riportò la notizia del ritrovamento delle salme, avvenuto un mese dopo il combattimento del 3 aprile, tra le note del giorno:
A CORIO CANAVESE (TORINO), sono stati rinvenuti i corpi di 5 militi della G.N.R: (provenienti dai carabinieri) che tempo addietro furono prelevati dalla caserma del distaccamento di CASTELLAMONTE (AOSTA), dopo aver opposto strenua resistenza. (5)
Nel frattempo, quei poveri corpi, ricondotti in parte a Torino, furono oggetto dell’attenzione delle autorità e dei giornali in occasione dei loro funerali ed anche qualche giornale riportò la notizia:
L’eroico comportamento di cinque carabinieri aggrediti da una banda di ribelli. Viene segnalato l’eroico comportamento di un gruppo di cinque carabinieri presidianti la stazione di Castellamonte.
Attaccati proditoriamente da una banda di ribelli numericamente molta preponderante, i cinque valorosi si sono strenuamente difesi in violento combattimento sino a che, esaurita anche l’ultima cartuccia, sono stati sopraffatti dal numero degli avversari.
Alle salme di due di essi, Lucco-Borlera Serafino e Frascone Antonio sono state rese in questi giorni a Torino solenni onoranze. Le famiglie sono state assistite dalla Federazione dei Fasci repubblicani. (6)
Il tempo non rimosse questa vicenda drammatica ed essa sopravvive ancora nella memoria del territorio canavesano tanto da comparire anche in opere di storia locale. (7) Restando, purtroppo, argomento divisivo così da lasciare spazio a dibattiti alimentati da politica e partiti ed a sterili quanto stantie polemiche che certo non giovano alla costruzione di una memoria condivisa:
CASTELLAMONTE. Sessantadue anni fa cinque carabinieri, in servizio presso la caserma di via Nigra a Castellamonte, vennero catturati dai partigiani e poi uccisi nei pressi di regione Combe nel territorio del comune di Corio. Per onorare il loro sacrificio il coordinatore canavesano di Alleanza Nazione, Carlo Romito, nei giorni scorsi, ha scritto una lettera aperta al sindaco di Castellamonte Eugenio Bozzello chiedendo che l’amministrazione comunale intitoli una via, una piazza oppure posizioni una semplice lapide con i nomi dei cinque caduti e con la dicitura ‘Servitori dello Stato uccisi dai partigiani’.
«Il fatto – spiega Carlo Romito – avvenne nella primavera del 1944 quando la caserma dei carabinieri di Castellamonte venne attaccata da una banda di partigiani. Cinque dei sei militari, dopo una lunga battaglia, si arresero. Un sesto carabiniere riuscì a sottrarsi alla cattura nascondendosi nella caserma. I prigionieri vennero trasferiti nel campo di raccolta di Corio ed uccisi, il 6 aprile 1944, in regione Combe».
Si trattava di Nereo Lusso (19 anni), Eldrado Marzo (36 anni), Antonio Frascone (44 anni), Pasquale Pacini (32 anni) e Serafino Lucco Borlera di 42 anni. «Il fatto è che la loro morte è stata ingiustamente dimenticata – aggiunge il coordinatore canavesano di Alleanza Nazionale -. È noto che non si trattava di simpatizzanti della Repubblica Sociale e dei suoi alleati nazisti tanto che lo Stato italiano, a guerra conclusa, riconobbe la loro morte per cause di servizio. Per questo ritengo un atto di alto valore morale rendere giustizia a questi cinque carabinieri».
Da palazzo Antonelli nessun commento ufficiale se non la riconferma della posizione tenuta quando la giunta Bozzello sostituì l’intitolazione di ‘Piazza Martiri delle Foibe’ con ‘Piazza Pertini’: «Abbiamo già la piazza principale della città intitolata a tutti i Martiri della Libertà». (d.r.) (8)
Nessuno si sognò mai di accusare i cinque caduti di azioni criminose o di particolare fervente adesione al fascismo. Furono dalla parte sbagliata? Per la nostra morale senz’altro ma questo non basta ad etichettarli con stereotipi negativi e dopo decenni dai fatti drammatici della nostra guerra civile, proprio per valorizzare l’idealismo di chi la combatté con lo spirito di guerra di liberazione, sarebbe opportuno fare sempre le dovute specifiche e singole distinzioni smettendola di generalizzare ed etichettare.
Atteggiamento che non ha nulla di storico ma, semmai, di dogmatico e quindi di irrazionale.
Di quei cinque carabinieri, vittime della furia del conflitto, resta comunque la memoria ed il ricordo ritengo debba essere mantenuto.
Morirono lontano dai loro cari, di fronte alle armi impietose di altri italiani, disperati nelle loro giovinezze tradite dalla storia. (9) Tra loro anche Serafino Lucco Borlera, il quale oggi riposa nella sua città, grazie al cui volto ho scoperto questa storia drammatica. Una pagina infelice del nostro tormentoso passato. Una pagina da non perdere nell’oblio perché solo avendo il coraggio di raccontare le ombre di quei momenti si potrà davvero apprezzarne le luci.
Alessandro Mella
NOTE
1) I ribelli siamo noi, Michele Tosca, II edizione, Tomo I, Chiaramonte Editore, Collegno, 2019, pp. 258-259.
2) Torino 1943-1946 Martirologio, L’Ultima Crociata Editrice, 2005, p. 227.
3) I ribelli siamo noi, Michele Tosca, II edizione, Tomo I, Chiaramonte Editore, Collegno, 2019, p. 259.
4) Fonogramma n° 294, 5 maggio 1944, dal Comando Provinciale GNR di Torino al Comando Generale Serv. Politico.
5) Notiziario della Guardia Nazionale Repubblicana, 6 maggio 1944, p. 43.
6) La Stampa, 125, Anno LXXVIII, 4 maggio 1944, p. 2.
7) Il 3 aprile 1944, mentre a Castellamonte vi è il coprifuoco, i carabinieri di stanza alla caserma resistono fino all’esaurimento delle munizioni ad un attacco dei partigiani; dopo essersi arresi, i cinque carabinieri catturati saranno passati per le armi qualche giorno più tardi a Corio Canavese. (Castellamonte e la sua storia, Giuseppe Perotti, Ivrea, 1980, p. 243).
8) La Sentinella del Canavese, 26 gennaio 2006: https://ricerca.gelocal.it/lasentinella/archivio/lasentinella/2006/01/26/IN3PO_IN304.html (Consultato il 18 marzo 2023).
9) Circa la vicenda umana di Marzo Eldrado, ad esempio, si legga: «Ma le sofferenze per i coniugi Virgilio e Maria non sono finite: nell’anno 1942 viene richiamato alle armi il Carabiniere Marzo Eldrado classe 1907, marito di Valentina, figlia di Virgilio e Maria e ovviamente sorella dei due Caduti, il quale presta servizio d’ordine presso la Stazione del C.C. di Castellamonte. Allo sbandamento dell’Esercito Italiano dell’otto settembre 1943, l’Arma dei Carabinieri continua però a prestare servizio per l’ordine pubblico, e così si giunge al 4 aprile 1944, quando un gruppo di Partigiani intimano ai Carabinieri della Stazione di consegnare le armi, ne consegue un conflitto a fuoco di circa un’ora ed i Carabinieri esaurite le munizioni si arrendono; ma nel conflitto vengono feriti due Partigiani del quali uno, poche ore dopo muore.
I cinque Carabinieri vengono portati a Corio Canavese e il giorno 6 fucilati, fra i quali Marzo Eldrado di 36 anni che lascia la moglie Valentina e tre figli di nove, sette e quattro anni che abitavano a Mocchie di Condove; ne consegue che papà Virgilio e mamma Maria accolgono ancora in casa anche la figlia Valentina con i tre figlioletti. Non si tratta di esprimere giudizi o sentenze su questo drammatico momento di guerra; l’Arma in quel momento non partecipava ai rastrellamenti contro i Partigiani e svolgendo ordine pubblico doveva, ovviamente, essere dotata di un’arma; purtroppo quando si è in presenza di un Caduto, la situazione diventa molto difficile. Esprimo questo semplice parere perché ho vissuto ventenne quei terribili e drammatici momenti, avendo fatto il partigiano nella 4° Divisione Giustizia e Libertà (Stellina) operante sui sui monti della media Valle di Susa (…)». (Pensiero di Elso Tournour su La Valsusa, 41, Anno CXVII, 30 ottobre 2014, p, 18).
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