
I sospetti generati dalla bozza dell’enciclica contro l’antisemitismo di Pio XI
Ci stiamo avviando velocemente all’apertura del conclave e già stanno sorgendo rumors sulle pressioni esercitate da capi di stato e servizi segreti, su eventuali veti e situazioni poco consone alla solennità del momento. C’è una domanda banale che è stata rivolta più volte ai cardinali, circa la durata del prossimo conclave.
Invece di focalizzare l’attenzione sulla scelta illuminata dallo Spirito Santo a difesa della cattolicità e della saggezza indispensabile per contribuire a porre fine alla terza guerra mondiale combattuta a pezzi, come la definì papa Francesco, alcuni cardinali hanno sparato previsioni su giorni e fumate.
Per parlare di situazioni reali e serie, concertiamoci su fatti drammatici che nel ‘900 contribuirono ad abbreviare di molto le votazioni al conclave.
Un indubbio primato si registrò con l’elezione del Cardinale segretario di Stato Eugenio Pacelli, che fu eletto dal conclave del 1939, convocato dopo la morte improvvisa e contornata anche già allora da aloni di sospetti, di Papa Pio XI. Il conclave si svolse alla Cappella Sistina dal 1º al 2 marzo, e, dopo tre scrutini, – una consultazione straordinariamente rapida – venne eletto papa il cardinale Eugenio Pacelli, che assunse il nome di Pio XII.
Erano presenti 63 cardinali; e fra di loro c’erano anche tutti i porporati americani, attesi per 18 giorni grazie ad una dilazione del tempo massimo decretata da Pio XI. Alcuni cardinali avrebbero voluto un papa “non politico”, ma Eugenio Pacelli, braccio destro di Pio XI fu scelto perché la situazione del mondo, in quell’anno cruciale (la Seconda guerra mondiale iniziò nel settembre di quell’anno) chiedeva una mano ferma ed esperta per la guida della Chiesa.
Il conclave fu il più rapido del XX secolo e il suo esito scontato. Si racconta che durante la processione dei cardinali dalla Sala Clementina alla Cappella Sistina, il cardinale Eugenio Pacelli sia inciampato, cadendo a terra. Si dice che il prelato che lo ha aiutato ad alzarsi abbia esclamato, scherzando: “Ecco il Vicario di Cristo… in terra!”.
Pacelli è stato il primo segretario di stato ad essere eletto papa dopo Clemente IX (1667), il primo camerlengo dopo Leone XIII (1878), il primo membro della curia dopo Gregorio XVI (1831) ed il primo romano dopo Clemente X (1670). Alcuni storici, non senza ragione, lo definirono “l’ultimo Papa”. Svilupperemo l’argomento prossimamente, ma torniamo agli antefatti.
Cosa causò la morte di Papa Pio XI? Morì veramente d’infarto, o fu ucciso?
Qualcuno lo sospettò subito, dopo che all’alba del 10 febbraio 1939, papa Achille Ratti mancò all’improvviso, pur essendo un ottantaduenne cardiopatico, ma a generare i sospetti furono le circostanze.
Il giorno seguente avrebbe dovuto pronunciare un discorso per il decennale del Concordato. E molti si aspettavano che avrebbe condannato le dittature nazista e fascista, dopo le roventi polemiche dei mesi precedenti sulle leggi razziali. La scomparsa del pontefice – che, si dice, tenesse sul tavolo di lavoro anche la bozza di un’enciclica contro l’antisemitismo poi accantonata dal successore, Pio XII – fu provvidenziale per entrambi i regimi.
Vent’anni dopo papa Giovanni XXIII fece pubblicare solo in parte la bozza di quel discorso, in cui Benito Mussolini e Adolf Hitler venivano paragonati a Nerone. Nel 1972 il cardinale Eugène Tisserant, in un memoriale a lui attribuito, riguardo alla morte di Pio XI avrebbe affermato: «Lo hanno eliminato, lo hanno assassinato». E indicò anche la mano che, se non causò direttamente il decesso, almeno lo favorì o affrettò: quella del medico personale Francesco Saverio Petacci, padre dell’amante di Mussolini, Claretta.
Ipotesi incredibile, ritenuta tuttavia plausibile dallo storico Piero Melograni, che ha studiato a fondo quel periodo: «Petacci era un personaggio ricattabile da parte del regime».
Uno dei maggiori sospetti si addensò nel corso degli anni, dall’analisi dei diari di Claretta Petacci, sicuramente autentici e desecretati dall’Archivio centrale dello Stato settant’anni dopo la loro redazione.
Dall’agenda 1939 qualcuno ha eliminato proprio le pagine su quei giorni di febbraio. Dopo avere controllato la copia originale, conservata negli uffici dell’Eur, si è scoperta una settimana di buco: dal 5 al 12 febbraio. Dal diario sono state chiaramente sottratte una o più pagine. Il foglio del 5 febbraio s’interrompe bruscamente, nel mezzo di una frase e riprende il 12 febbraio come se nulla fosse, con Mussolini che alle nove e tre quarti telefona a Claretta parlando della salma del papa che vuole andare a omaggiare a San Pietro: «Vado con mia moglie. È bene anche per il mondo che lo faccia. Ma non farò tardi».
Quindi chi ha strappato i fogli ha lasciato involontariamente traccia della clamorosa manomissione. Nei diari il duce parla di tutto con l’amante, anche di delicati argomenti politici. È sincero, si lascia andare come non fa neppure a casa propria. E lei riporta fedelmente, quasi maniacalmente, ogni sua frase.
Nelle settimane precedenti, Benito Mussolini si era scagliato più volte contro Pio XI, definendolo addirittura «una calamità, nefasto per la religione: peggio di questo papa in questo periodo non poteva capitare […] Tu non sai il male che fa alla Chiesa. Fa cose indegne.
Come quella di dire che noi siamo simili ai semiti. Come, li abbiamo combattuti per secoli, li odiamo, e [ora] siamo come loro. Abbiamo lo stesso sangue! Ah! Credi, è nefasto» (8 ottobre ’38).
Anche Galeazzo Ciano nel suo diario scrive che Mussolini il 14 dicembre 1938 ebbe uno scatto d’ira contro il papa. Ma è possibile che Mussolini abbia fatto sopprimere Pio XI tramite il dottor Petacci?
Quel che è quasi impossibile è che nei diari di Claretta non si accenni mai alla vicenda. Soprattutto dato il ruolo di archiatra pontificio ricoperto dal padre e la familiarità che si era instaurata con Mussolini, al quale a sua volta Claretta raccontava le proprie vicende domestiche. Il duce s’interessava a Petacci, lo faceva scrivere sul Messaggero, voleva nominarlo senatore.
L’eliminazione delle pagine scottanti è quindi sicura. Difficile, invece, stabilire quando avvenne: prima che Claretta in fuga dal lago di Garda nell’aprile ’45 consegnasse i diari all’amica contessa Rina Cervis? O dopo che furono ritrovati dai carabinieri, cinque anni più tardi, sotterrati nel giardino della contessa a Gardone? E chi li purgò dei fogli ritenuti imbarazzanti? Claretta stessa, fucilata a Dongo il 18 aprile 1945 oppure le autorità italiane, oppure i servizi segreti americano o inglese, ai quali erano stati fatti leggere prima di seppellirli di nuovo per sette decenni nell’Archivio romano in nome della privacy?
L’unico e ultimo erede Petacci, Ferdinando, vive in Arizona e difende la memoria del nonno: «Perché avrebbe dovuto uccidere un amico che curava da quand’era cardinale, e che per lui era una gallina dalle uova d’oro, la massima referenza? Per fare un favore a Mussolini?».
Ancora una volta l’Italia dei misteri semina sospetti, ma se ci soffermiamo sulle tante manipolazioni che i documenti autentici subirono in Italia nel corso della Seconda guerra mondiale o subito dopo, dovremo vivere tra sospetti e pregiudizi. Tornando al presente, auguriamoci invece che il Papa che provocherà la fumata bianca porti benefici all’Umanità, oltre che alla Chiesa.
Ne abbiamo troppo bisogno.
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