Di Alessandro Mella
Dopo l’armistizio dell’8 settembre 1943 e la nascita della Repubblica Sociale Italiana le regioni centrosettentrionali del nostro paese vissero, sulla pelle viva, la furia impietosa della guerra civile.
Da un lato, infatti, combattevano quegli uomini e quelle donne desiderosi di restituire all’Italia libertà, indipendenza e democrazia e dall’altro a lottare erano gli ultimi disperati e crepuscolari militi del fascismo morente. La lotta di liberazione, dunque, divenne via via sempre più violenta e fratricida con una crescita costante dell’odio reciproco e del rancore.
In mezzo a questa miscela esplosiva, poi, si inserirono anche gli arrampicatori, i violenti per vocazioni, gli approfittatori e così via. Coloro i quali, per intenderci, con i loro comportamenti ed eccessi finirono per gettare ombre infelici sui sacrifici, spesso eroici, degli stessi partigiani.
Parlare oggi di quegli orrori innumerevoli non è peccato o lesa maestà, ma anzi permette di distinguere i veri eroi da chi ne macchiò l’opera. Un atteggiamento differente oltre che obbedire ad un infausto “politicamente corretto” sarebbe soprattutto non scientifico, non storiografico, ma dogmatico e politico.
Molte furono le vicende terribili che seguirono a quei mesi terribili e nei giorni della primavera 1945 bastava un sospetto, una parola, un dubbio per finire al muro. Era la rabbia che, dopo mesi di angherie subite, esplodeva incontenibile e di cui molti si approfittarono per le proprie questioni personali. Ma vi furono anche tragedie figlie dell’equivoco, di un destino fatale ed ingrato, dell’assuefazione alla morte e del valore della vita ridotto al nulla.
Così accadde ad Alessandro Santoro il quale era nato a Campobasso il 9 luglio del 1914. Si era trasferito a Torino in seguito all’impiego trovato presso le Ferrovie dello Stato e qui aveva messo su famiglia con la moglie Clementina che gli aveva poi dato la piccola Antonietta nata nel 1938. (1)
Il 1° maggio 1945, quando in città erano scesi i partigiani, ma molti militi fascisti resistevano ancora, terminato il turno di lavoro si imbatté a Porta Susa in uno scontro a fuoco restando ferito, per puro caso, alle gambe. In terra invocò aiuto, chiese soccorso, ma qui accadde il peggio. (2)
Qualche passante dovette scambiarlo per un ufficiale dell’ex milizia fascista a lui somigliante ed iniziò ad inveire contro il ferito per cui i partigiani presenti invece di soccorrerlo lo finirono avendo poi cura di asportare quel poco di denaro che ancora portava nel portafogli. (3)
La famiglia del povero ferroviere, ucciso unicamente per sbaglio e frettoloso equivoco, restò nell’indigenza più completa.
Fu una delle tante tragedie nella più grande tragedia, un orrore nell’orrore, una follia nella più grande follia.
Quanto, disperatamente, avrà invocato salvezza il povero Santoro prima di essere finito in modo impietoso da mani sconosciute? Quanto avrà pensato alla moglie ed alla figlia prima del colpo fatale inflittogli perché scambiato per chi non era? Quante volte avrà gridato all’errore, allo scambio di persona, cercando di far capire che non era lui quel tenente della milizia?
Non lo sapremo mai, non potrà raccontarcelo, ed a noi resta solo il dovere di raccontare questa storia per documentare, una volta di più, come la guerra possa portare a lutti e violenza senza fine, senza alcun criterio, senza giustizia alcuna.
Oggi Alessandro Santoro riposa nella città che l’adottò e gli diede moglie e figlia, lavoro e sogni per un futuro che la ferocia degli uomini gli spezzò e gli strappò via.
Ricordarlo è un modo per cercare di perpetuare l’illusoria speranza che questi eventi, nella storia, non si ripetano più.
Alessandro Mella
NOTE
1) Del matrimonio si trova riscontro in: La Stampa, 104, Anno LXXI, 3 maggio 1937, p. 4. La nascita della piccola Antonietta è invece documentata in: La Stampa, 159, Anno LXXII, 6 luglio 1938, p. 5.
2) I Ribelli siamo noi, II edizione, Tomo II, Michele Tosca, Chiaramonte Editore, p. 202.
3) Torino 1943-1946 – Martirologio, L’Ultima Crociata Editrice, 2005, p. 341.
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