Gestire il giudizio altrui.
È arrivata l’estate e con il caldo si tende a utilizzare maniche corte pantaloncini e gonne più corte del solito oppure a evitare le calze. Questo porta inevitabilmente a “scoprirsi” un po’ di più. Chi ha l’ospite, il più delle volte sgradito, della psoriasi sulla pelle, l’estate è un momento molto particolare.
Da un lato ci si scopre per ovvie ragioni. Dall’altro si dice al mondo quanto l’ospite – la psoriasi – sia presente sulla pelle. In una società come quella attuale dove i like e l’approvazione altrui vale più di ogni altra cosa, avere un po’ di autostima, anche con la psoriasi sulla pelle, diviene imperativo categorico.
Molte persone evitano di scoprire il loro corpo. L’ospite epidermico è un ospite. In più si nutre di ansia e di nervoso. Il circolo vizioso in cui si cade in questo periodo è proprio questo: ho l’ansia del giudizio; non mi scopro; ho caldo; provo disagio; mi aumenta il nervoso; vorrei scoprimi perché ho molto caldo; non posso farlo perché se mi vedono … e allora aumenta l’ansia; mentre aumenta l’ansia e il nervoso aumenta il prurito sulle placche; basta, torno a casa.
La psoriasi porta con sé proprio l’idea di essere giudicati. Ma, simbolicamente, ha un valore enorme. La sua natura intrinseca è di essere uno dei primi archetipi dell’umanità. È la patologia più antica. È per lo più, anche comprovato da numerose ricerche scientifiche, una alterazione di una serie di geni come HLA-B*13, *16, *38, *39, *17 e l’HLA-Cw6 e altri ancora.
Quindi avere su di sé la psoriasi è una eredità. Come individui la responsabilità è dovuta al fattore dell’essere sensibili. Di provare una mancanza di un qualcosa a cui è difficile dare un nome. Un vuoto dentro del quale si è consapevoli e al quale si vuole sfuggire nascondendolo nelle profondità dell’essere.
Avere la psoriasi è dire al mondo quanto ci si senta spesso soli. Non intesa come solitudine dovuta per mancanza di amici. Ma intensa come solitudine che viene da dentro. Una sensazione senza definizione concettuale.
Da qui il disagio numero due. Non poter esprimere qualcosa di così forte e profondo. Essendo inesprimibile, come si può chiedere agli altri di comprendere tale stato d’animo? E il nervoso vestito da bassa tensione continua prende residenza nell’intimo. Nutre i geni. E le placche fanno capolino sulla pelle.
Se nutrite così, le placche esprimono tutta la loro forza con un prurito pungente che richiama il contatto con le unghie. Unico sollievo al prurito. Un sollievo ambiguo. La sensazione tattile di piacere mentre ci si gratta stimola, accelerandone la funzione, la nascita di nuove placche. Così se da un lato si prova piacere, dall’altro si sta nutrendo l’infiammazione e la produzione di nuove placche. Risultato: maggiore infiammazione della zona, aumento della tensione interna e del nervosismo, le quali attivano la risposta genetica e quindi, dopo poco, aumento del prurito. Alcuni bloccano il circolo solo alla vista del sangue prodotto dal continuo grattarsi.
Vivendo queste circostanze. Provando queste sofferenze, perché mai si dovrebbe temere il giudizio degli altri sulle placche della pelle? Chi giudica si bea del giudizio. Chi ha provato certe situazioni sa con certezza che queste hanno un valore, danno un valore, sanciscono un valore personale molto più alto rispetto a chi non ha mai provato tutto questo.
Dare importanza al proprio valore, proprio perché si è affrontato o si affronta ancora il prurito, la tensione, la mancanza interiore inesprimibile, è il punto di forza da rendere invincibile, rispetto al meschino giudizio altrui, che rende l’ospite meno invadente e aggressivo.
Nel dare valore a se stessi si smette di nutrire le placche. Tenendole a digiuno si hanno meno disturbi e fastidi. Molte se ne andranno, alcune rimarranno come a segnalare il loro passaggio con un “noi siamo state qui”, ma di sicuro l’autostima ne trarrà giovamento.
E quando questo accade, un messaggio inconscio in risposta alla solitudine interiore arriva e sarà meraviglioso.