Accademici a confronto su un argomento “scottante”.
È un dato di fatto assodato: noi italiani siamo legati al cibo. Soprattutto del buon cibo. Spesso pure mentre si mangia si parla di cibo, si scambiano ricette, ci si confronta su come fare un piatto o un’latro. Chi dice “mettici questo” chi dice “no, è meglio con quello”. Ma perché, essendo la popolazione più “appetitosa del mondo” siamo solo marginalmente toccati dalla obesità sociale (anche se è in aumento considerevole nella popolazione giovanile) diffusa oltre oceano e in alcuni paesi economicamente ricchi?
Il cibo è sinonimo anche di bontà. E noi di italica generazione ne sappiamo molto su questo. E allora perché un articolo sulla dipendenza da cibo?
Il fenomeno della dipendenza da cibo è controverso. Alcuni accademici sono in disaccordo con altri. La dipendenza da cibo sembra esistere ma in assenza di maggiori studi e protocolli di intervento, per alcuni, è un fenomeno osservabile senza troppe preoccupazioni.
Andiamo con ordine. La dipendenza è un comportamento compulsivo nei confronti di una sostanza, di una persona o di un comportamento. La “dipendenza” da sostanza, di cui stiamo parlano in questo articolo è quella da cibo. Può il cibo portare alla dipendenza?
Per alcuni ricercatori e studiosi dell’argomento Sì senza ombra di dubbio. In detrattori di questa posizione considerata estrema si basano sul fatto che il cibo, di per sé, non può essere la causa assoluta del danneggiare la salute e il benessere di una persona. A una attenta analisi a danneggiare la salute è un insieme di comportamenti, tra cui il cibo, ma non l’unico. Per altri è totalmente diverso.
Tale comportamento esula dai disturbi clinici catalogati, quindi, di per sé, è un semplice comportamento disfunzionale spesso a natura periodica. Vedasi chi mangia di più sotto stress (come Po in Kung-fu Panda) o chi, invece, mangia per pene di amore (come la protagonista nel film diario di Bridget Jones).
Per un ricercatore sul comportamento John Dolores, PhD, clinico psicologo e direttore operativo di Bespoke Treatment, uno studio di salute mentale con sede a Los Angeles le cose stanno altrimenti. In effetti egli afferma: “Sebbene non sia stato universalmente riconosciuto come diagnosi ufficiale, il termine è usato per descrivere comportamenti alimentari privi di moderazione e [incontrollati] nonostante effetti fisici, emotivi o sociali avversi”. Per lui, quindi, si tratta di dipendenza.
Esistono prove quantitativamente rappresentative a sostegno di queste affermazioni e non solo. Si è potuto stabilire che sono principalmente alcuni specifici alimenti a creare dipendenza da cibo piuttosto che altri.
Ciò accadrebbe a causa di una sollecitazione dopaminica nel cervello da parte di questi cibi. Da qui una cascata ulteriore di neuropeptidi legati al piacere e alla ricompensa tanto da chiederne ancora, e ancora, e ancora. Costringendosi poi a un aumento della dose per superare l’assuefazione conseguente della dose assunta in precedenza e riprovare quella scarica di piacere.
Uno studio pubblicato su Frontiers in Psychiatry nel 2021 rivela che sia le persone predisposte alla dipendenza, sia coloro che lottano con il peso o problemi legati al peso, manifestino tendenza nel comportarsi in modi in linea con le definizioni classiche di dipendenza, come alterazione dell’umore, compulsione irrefrenabile, rinforzo degli stessi comportamenti. In questi tipi di soggetti a predisposizione alla dipendenza possiamo trovare coloro che hanno bassa autostima, o provano ansia e depressione.
Ma ciò certamente non significa che tutti, o solo in quei gruppi si abbiano questi comportamenti, dice Dolores. Altresì non significa che altre categorie di persone non manifestino poi gli stessi comportamenti. “La dipendenza da cibo può avere un impatto su chiunque, indipendentemente dall’età, dal sesso o dalla situazione finanziaria”, afferma.
Quindi cosa è la dipendenza da cibo? Quali sono gli alimenti che possono, in qualche modo, scatenare questa probabilità? Lo approfondirò nella parte 2.