Sindacati e opposizioni cercano di mobilitare il Paese, in modo strumentale. La posizione degli Autonomisti
Dopo l’ok del Senato, la Camera dei Deputati, mercoledì mattina ha dato il via libera definitivo al ddl Calderoli, ossia la legge sull’autonomia differenziata.
Si tratta di un provvedimento che definisce le modalità con cui le regioni potranno chiedere e ottenere di gestire 23 materie sulle quali al momento la competenza è dello Stato centrale. Il provvedimento è stato approvato con 172 voti favorevoli, della maggioranza di governo, e 99 voti contrari e 1 astenuto, delle opposizioni. Il disegno di legge era già stato approvato a gennaio dal Senato.
L’approvazione della legge non determina l’effettivo trasferimento di competenze alle regioni. Il provvedimento si limita infatti a indicare un percorso e delle regole che le regioni dovranno seguire nel negoziare col governo e col parlamento l’attribuzione di poteri e prerogative.
L’avvio di queste procedure è subordinato alla definizione dei livelli essenziali delle prestazioni (LEP), cioè i servizi minimi che lo Stato deve garantire in ogni parte del suo territorio su settori fondamentali: la definizione dei LEP e il loro finanziamento servono a prevenire il rischio che l’autonomia cristallizzi o persino aumenti le divergenze territoriali tra le regioni più ricche e quelle più povere.
E’ stato un percorso lungo che dovrebbe rappresentare gli aneliti degli autonomisti sin dalla Carta di Chivasso del 19 dicembre 1943, riaffermati dal glorioso MARP e da altri Movimenti Autonomisti, nel corso di ottant’anni ma che nel frattempo ha perso vigore e potenzialità, a causa di una rappresentanza politica che solo a parole ha sostenuto l’affermazione dei principi.
La prima volta che storicamente si è cominciato a parlare in Parlamento di Autonomia è stato nel 2001 con la modifica del Titolo V della Costituzione voluta dall’allora maggioranza di governo di centrosinistra, che oggi sostiene il contrario, poi approvata anche dal popolo italiano nel successivo referendum confermativo. In quell’occasione si andarono a indicare le materie di competenza statale, lasciando alle Regioni voce in capitolo sugli altri settori normativi, ma si stabilì anche – con la modifica dell’articolo 116 – che le Regioni fossero libere di chiedere “ulteriori forme e condizioni particolari di autonomia”.
La legge Calderoli fa in ogni caso proseguire una storica battaglia della Lega, che nel 2017 promosse i referendum in Lombardia e Veneto, i cui risultati non vennero però immediatamente concretizzati. Ecco quindi arrivare al ddl passato al vaglio anche dell’Aula di Montecitorio, che si compone di 11 articoli in cui vengono definite le procedure per il passaggio dell’Autonomia alle Regioni. L’approvazione di questa legge-simulacro, svuotata nella sua portata originaria, rischia di non essere operativa per molti anni. E’ stata salutata con enfasi dai gruppi parlamentari della Lega, ma non dalla base leghista del nord e ha scatenato nel Parlamento e nelle piazze la protesta strumentale e ideologica delle opposizioni.
L’autonomia differenziata ricompatta i rivoli delle sinistre. Lo “Spacca Italia”, come lo hanno ribattezzato, ha fornito l’occasione al PD di fa marciare le minoranze insieme.
E’ evidente come ci sarà un fronte compatto per supportare la raccolta delle firme e indire un referendum, a nostro parere immotivato. Pd, Alleanza Verdi e Sinistra, M5S e anche Italia Viva, reduce dal tracollo elettorale, hanno annunciato che lavoreranno insieme per provare a ribaltare con il voto popolare le scelte della maggioranza, dimostrando ancora una volta di disprezzare la democrazia rappresentativa e di sostenere cause prive di effetti.
Il proclama è agguerrito e pomposo e induce alla mobilitazione con i seguenti indicativi.
1) per il ritiro immediato delle intese in Veneto, Lombardia ed Emilia-Romagna su iniziativa dei rispettivi Consigli regionali
2) perché le Regioni ricorrano entro sessanta giorni alla Corte costituzionale in base all’art. 127 della Costituzione
3) a sostegno di tutte le iniziative di carattere giudiziario per impedire che si giunga alle Intese;
4) per costruire i Comitati referendari per la raccolta di almeno 550mila firme sul quesito referendario che i costituzionalisti metteranno a punto, come proposto da La Via Maestra
5) per costruire un programma delle opposizioni politiche e sociali in cui si affermi l’impegno a riscrivere il Titolo V della Costituzione
6) con ogni iniziativa nei territori per impedire il raggiungimento di Intese da parte dei Presidenti di Regione, anche e soprattutto con l’aiuto dei sindaci.
Le sinistre recitano il loro copione e rappresentano, nei fatti, l’unione dei parassiti, perché la legge, una volta attuata elargirà ulteriori stanziamenti alle regioni del Sud che storicamente non riescono a colmare il divario perché con le troppe interferenze malavitose nell’apparato e la cattiva amministrazione, non sono in grado di organizzare in modo decente i servizi per i cittadini, come le cronache e gli interventi della Magistratura, ampiamente attestano.
All’ultim’ora, anche la commissione UE paventa che la nuova legge produca rischi alle Finanze pubbliche a causa degli impegni previsti per le cospicue elargizioni alle regioni poco virtuose del Sud.
Sulla portata della nuova legge, così com’è congeniata e diluita nel tempo, quindi inefficace, gli Autonomisti della prima ora criticano apertamente il provvedimento e la retorica della presentazione.
In un articolato comunicato, il Partito Popolare del Nord, tratteggia la portata della Legge che a dir loro, di Autonomia rischia solo di portare il nome, in quanto c’è il richiamo ossessivo alla necessità di portare fondi al Sud.
“Viene addirittura creato un meccanismo secondo il quale, dietro la necessità di garantire gli ormai famigerati LEP (livelli essenziali di prestazione) a tutto il Paese, si crea un flusso finanziario verso il SUD che già i primi calcoli stimano tra gli 80 e i 100 miliardi, sostengono gli Autonomisti, e precisano: “Tutto ciò senza alcuna garanzia che poi l’autonomia venga davvero ottenuta dalle Regioni che la chiedono. Basti pensare all’art 7 secondo il quale lo Stato può chiedere la REVOCA dell’Autonomia in qualunque momento, e anche nel migliore dei casi questa fattispecie può durare al massimo 10 anni dopodichè viene a cessare”.
“E’ evidente per chiunque”, viene sottolineato,” che 10 anni sono un arco di tempo limitato atteso che la mandata a regime del trasferimento delle competenze comporta meccanismi complessi e di lunga durata. In sintesi, una legge che obbliga il NORD a versare ancora enormi risorse attraverso il residuo fiscale e non dà alcune garanzie che l’autonomia possa essere conquistata”.
Non possiamo che condividere la conclusione “Non basta l’insopportabile residuo fiscale di almeno 100 miliardi che il NORD ogni anno subisce, non bastano i 120 miliardi del PNRR che andranno restituiti e che andranno in larga parte al SUD, ci voleva anche questo ulteriore flusso di denaro inventato a fini di pura propaganda, il tutto presumibilmente in assenza di controlli come sempre avvenuto per le spese nel Mezzogiorno. “Quindi c’è poco da inneggiare e sbandierare una conquista per l’affermazione delle autonomie, cosi come la mobilitazione di un sud in voluto arretramento significa la mai sopita vocazione all’accattonaggio endemico del mezzogiorno. La reazione delle sinistre lo sta dimostrando.
C’è un dato oggettivo che emerge ancor di più nel momento in cui l’UE contesta la gestione disinvolta dei fondi del PNRR al governo Italiano. Urge riproporre la questione settentrionale, in tutte le sue articolazioni e ricadute sui cittadini.
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