
Dunque, l’Europa -l’Europa che dovrebbe anche essere nostra- ha trovato finalmente la sua nuova vocazione ideale e materiale: la guerra.
Dopo averci raccontato per decenni che aveva preservato la pace e favorito la collaborazione fra i popoli, aveva fatto fiorire la libertà, il progresso economico, la giustizia sociale e, da ultimo, la salvezza ambientale, ecco che improvvisamente da questo paradiso terrestre scaturisce un’inedita, velenosa volontà guerresca.
Dopo il conflitto russo-ucraino (ricordatevi comunque, e sempre, di pronunciare in qualche modo la parola “aggressione”, come raccomandato anche dal nostro Presidente della Repubblica), tutto sembra cambiato nel continente della buona volontà, del dialogo, della benevolenza: da pochi giorni è comparsa la minacciosa parola ReArm che da sola rappresenta un repentino testa-coda dell’intera politica europea, un’inversione epocale in quello che sembrava un sereno cammino verso le magnifiche sorti e progressive dell’Unione. “Ri-armiamoci”: un imperativo a cui probabilmente dovrebbe seguire un “…e partite” molto inquietante e carico di future evoluzioni guerresche.
Tutta questa eccitazione bellica, di cui sono protagonisti Macron, Starmer, Tusk, Von der Leyen e compagnia marciante, sembra aver preso il sopravvento dopo che è comparso sulla scena Donald Trump con la sua volontà pacificatoria (anche se non pacifista), e che ha tirato verso di sé un Vladimir Putin non del tutto recalcitrante dinnanzi alla prospettiva di una soluzione diplomatica concordata sulla testa del povero Zelensky, che ha assunto la veste di un birillo nel bowling della strategia globale fra superpotenze.
Non osiamo immaginare le conversazioni che, nell’al di là, possono intrattenere De Gasperi, Adenauer, Schuman e gli altri nobili padri dell’Unione Europea; grandi uomini che pensavano l’Europa come una nuova civiltà della pace e delle libertà, soprattutto della pace, vista la tragedia che avevano vissuto assieme ai loro popoli.
Se c’è una visione, se c’è un sentimento forte alla base dell’unione europea originaria, questi sono rappresentati da una sola parola: pace; e, per aggiungere un’altra citazione evangelica, anche dalla parola “buona volontà”. La prima aspirazione è scomparsa del tutto, la seconda si è malignamente trasformata: gli uomini di buona volontà sono diventati i cosiddetti “volonterosi”, cioè i governanti che oggi incarnano il desiderio di scontro anziché di incontro.
Da dove nasce tutto questo? Da una colossale menzogna che avevamo già evidenziato su questo giornale esattamente un anno fa: la presunta volontà della Russia di attaccare l’Occidente.
Che la Russia di Putin sia un’immensa democratura con tratti aggressivi è fuor di dubbio, ma è necessario fare due precisazioni. La prima è che quell’aggressività non è per nulla dissimile da quella occidentale, e forse anche inferiore se si considerano i tanti interventi che l’apparato bellico statunitense o europeo, con o senza il supporto ONU o NATO, ha attuato negli anni verso paesi sovrani e autonomi, a partire da Suez nel lontano 1956, attraverso le guerre di Corea e Vietnam, fino all’aggressione della Libia nel 2011, e passando attraverso i due attacchi all’Irak nel 1991 e nel 2003, e proseguiti con l’invasione dell’Afghanistan nel 2001 e ancora con i bombardamenti della Serbia nel 1999. Possiamo pertanto dire che l’Occidente, quanto a guerre di aggressione, non ha nulla da invidiare a nessuno.
La seconda precisazione è che l’Unione Sovietica prima e la Federazione Russa poi hanno dispiegato il loro bellicismo verso paesi (Ungheria, Cecoslovacchia, Georgia, Kazakistan, Tagikistan) che venivano comunque considerati appartenenti alla loro esclusiva sfera d’influenza, e il cui allontanamento o la cui instabilità costituivano per quell’unica superpotenza un pericolo inaccettabile.
La Russia attuale soffre ancora terribilmente di due complessi radicati e dolorosi: il primo è quello dell’accerchiamento, il secondo è quello dell’unità politica -ma anche antropologica- della “grande Madre Russia”. Sono questi due fortissimi sentimenti che in buona parte hanno determinano le sue scelte geostrategiche e militari più recenti, soprattutto nel caso dell’Ucraina.
La Russia non poteva razionalmente tollerare che la NATO completasse il suo piano di espansione a est inglobando l’Ucraina, creando così un altro minaccioso avamposto militare proprio a ridosso dei suoi confini. La scelta dell’”operazione militare speciale” era semplicemente inevitabile, al di là di ogni considerazione etica o giuridica di cui tanto parla e si compiace l’Occidente. Ed è assolutamente lecito pensare che ogni nuovo passo della NATO verso i confini russi in futuro renda prevedibile e ineluttabile un’analoga reazione da parte di Putin o di qualunque suo successore. Su questo tutto l’Occidente deve riflettere con serietà e senza isteria.
Dunque, non esiste nessuna aspirazione o volontà russa di aggredire militarmente l’Occidente -o addirittura di invaderlo, come pensa qualche buontempone- ma solo una ben definita strategia di difesa dei suoi confini e della sua area d’influenza. E d’altra parte che bisogno avrebbe la Russia di conquistare nuovi territori a ovest quando è già uno stato che si estende per undici fusi orari con una popolazione proporzionalmente molto ridotta e grandi risorse naturali? E ancora, quale razionalità potrebbe esserci nel tentativo di aggredire un’Europa, comunque, forte militarmente anche senza un esercito comune e che potrebbe in ogni caso schierare ventisette formazioni belliche grandi o piccole, più quelle della NATO d’oltreoceano, considerando che essa ha dimostrato enormi ed evidenti difficoltà a prendersi una modesta porzione di Ucraina?
Non conosciamo il quoziente d’intelligenza di Putin e dei suoi generali, ma pensiamo sia più che sufficiente per evitare una simile fantasiosa e stupidissima scelta. Eppure, da noi c’è chi crede realmente alla possibilità di vedersi presto i cosacchi in giardino o i panzer di Putin sulle spiagge portoghesi.
La paura della Russia è una proiezione mediatica del tutto simile a quella recente del Covid, o a quella di una futura apocalisse ambientale, in cui l’Occidente, e in particolare i governanti europei, si sono specializzati per imporre scelte politiche, economiche, sociali e militari che hanno ben altre motivazioni.
La finta urgenza che accompagna queste favole mediatiche diventa poi lo strumento per accelerare tali scelte (ricordate il “fate presto”?) aggirando le normali procedure e le normali tempistiche democratiche, le quali rappresentano da tempo uno sgradevole impiccio per le oligarchie dell’UE.
Sono cose note e arcinote sia agli studiosi sia alla gente comune dotata di un minimo di senso critico, ma la pressione comunicativa e la sfacciataggine narrativa delle élites europee superano i limiti del verosimile e, con l’appoggio dei Padroni del Discorso (i vari Mieli, Panebianco, Giannini, Gruber e tanti altri fino un anziano e venerabile signore che siede al Quirinale), riescono a fare vittime anche nella gente apparentemente più accorta.
Pensare che la prossima spesa militare possa essere svincolata da ogni limite di bilancio e da ogni compatibilità sistemica, dopo che per decenni l’Europa ha ripudiato debito e deficit come la peste nera economica, ci lascia stupefatti, sgradevolmente stupefatti non solo perché, come abbiamo detto, si tratta di una scelta basata su una menzogna originaria ma anche per la spudorata disinvoltura di un’inversione narrativa che ci appare assolutamente incredibile, puerile e per molti versi insultante nei confronti di un’opinione pubblica adulta e consapevole.
La proposta di escludere tale spesa dal conteggio del deficit e del debito ricorda vagamente quel parroco che, rimproverato per essersi fatto portare un piatto di arrosto anziché di pesce il venerdì santo, pronunciò la celebre frase “ego te baptizo piscem”, ti battezzo pesce, e se lo mangiò tranquillamente.
Semplice no? Basta cambiare le parole, le definizioni e le regole, e poi si può fare quel che si vuole con un innocente sorriso sulle labbra. Il problema sarà spiegare alla gente d’Europa, quella vera non quella che vive e si parla nei palazzi di Bruxelles, che non potrà avere altri ospedali, assistenza, ricerca, pensioni decenti, scuole e strade migliori perché bisogna comprare più missili da sparare contro i russi. E stupisce che nessuno di quegli eurocrati sull’orlo della demenza valuti seriamente l’ipotesi che la guerra vera, quella civile, possa scoppiare, invece che con Putin, nelle loro città e nelle loro piazze dove sarà un problema usare i nuovi cacciabombardieri.
Ma una cosa peggiore, che ci fa comprendere ancor più il lato oscuro del potere europeo, è che tutto ciò deve avvenire in fretta, il più rapidamente possibile, senza intralci e -soprattutto- senza che le istituzioni con qualche parvenza di democraticità possano metterci il naso.
E così la Von der Leyen, con irritante sfrontatezza, ha deciso di non far passare il piano di riarmo dal Parlamento europeo invocando l’articolo 122 del TFUE che -basta leggerlo- non c’entra nulla con questa problematica, e avocando ogni decisione al Consiglio e alla Commissione. Non ci risulta ad oggi che il Parlamento di Strasburgo abbia sollevato perplessità o contrarietà, o anche solo una richiesta di chiarimento, a dimostrazione di quanta complicità ormai si sia instaurata fra quelle istituzioni.
E dunque, perché tanta irrazionalità e tanta fretta alla base di questo piano di riarmo che non piace alla società vera, quella civile, e piace invece tanto alle élites belliciste di Bruxelles, di Londra, di Parigi e, purtroppo, non sembra neppure dispiacere troppo a Roma, alla nostra Meloni e al nostro Crosetto?
Le risposte possono essere tante. Un vecchio umorista diceva che spesso non è necessario cercare troppe spiegazioni per certi comportamenti perché la stupidità è più che sufficiente. Ma purtroppo temiamo che non si tratti solo di stupidità, per quanto platealmente esibita. Lasciando da parte le scritture più complottarde, forse basterà ricordare che esiste, eccome se esiste, quello che Eisenhower, nel suo discorso di commiato dalla presidenza, aveva definito il “complesso militare-industriale”, sottolineandone la pericolosità, e che James O’Connor nel suo famoso La crisi fiscale dello stato aveva analizzato e palesato accuratamente.
Ogni decisione di riarmo, con i suoi 800 miliardi immediatamente spendibili, per evidenti motivi fa stappare bottiglie di champagne a quel complesso industriale, così come Big Pharma stappò le stesse bottiglie durante l’evento Covid, e così come ancora altre bottiglie furono stappate dal mondo delle imprese green e dei grandi fondi mondiali di investimento quando l’ideologia ambientalista cominciò ad affermarsi.
La prospettiva di profitto cancella ogni moralità e ogni razionalità che non sia quella economica, cancella perfino l’orrore che una persona rimasta umana prova dinnanzi alla guerra e al suo preannuncio: il riarmo.
A proposito, non sarebbe male dare un’occhiata ai nuovi SMS nel cellulare della Von der Leyen, visto che quelli vecchi non sono più disponibili ma spiegavano tante cose.
Una eccellente e condivisibile sintesi dei fatti!