
Ancora in merito al discorso di Trieste
In conclusione dell’ultimo articolo incentrato sulla lectio magistralis di Mattarella, tenuta a Trieste in occasione della Settimana sociale dei cattolici, e di cui avevamo evidenziato limiti e approssimazioni, ci eravamo anche ripromessi di tornare sull’argomento appena possibile.
Lo facciamo oggi, provando ad evidenziare alcuni aspetti della moderna democrazia sfuggiti al discorso presidenziale, un discorso tutto incentrato sul contrasto maggioranza-minoranza in ambito parlamentare e sul fumoso concetto di “democrazia della maggioranza” che, pur nella sua inconsistenza, veniva posto in antitesi con la tutela di “diritti e libertà” in una società moderna. Visioni che, ripetiamo, sfuggono alla nostra comprensione, così come a quella di molti altri, lasciando però chiaramente scoperta l’intenzione di ammonire quella parte politica che oggi è al potere in Italia e che evidentemente non gode della simpatia presidenziale.
Quello che invece sembra sfuggire al Presidente, nella sua analisi un po’ datata della democrazia moderna, è il contrasto insanabile e sempre più profondo fra democrazia popolare e poteri oligarchici, forse perché egli -più o meno consapevolmente- appartiene proprio a quell’élite che della democrazia ha un’idea spesso molto autoreferenziale.
La questione non è certamente nuova: se ne dibatte da secoli, da quando la Grecia classica coniò appunto i due termini di “democrazia” e di “oligarchia”, fino ai giorni nostri. Ma oggi ha assunto un significato nuovo nel mondo globalizzato in cui il potere tende a spostarsi sempre più verso l’alto, a nascondere sempre più il suo volto, a imporre sempre più i suoi interessi a una politica ormai incapace di difendere le sue prerogative, i suoi privilegi e, soprattutto, la sua originaria funzione di operare nell’interesse dei popoli.
Facciamo alcuni esempi basati sul fatto che in questi giorni si vanno definendo gli assetti di potere in alcuni luoghi politicamente fondamentali: Europa, Francia, Stati Uniti.
In Europa, dopo l’elezione del Parlamento e della sua presidente, si procederà all’elezione del presidente della Commissione. Mentre scriviamo non si sa ancora se sarà la favorita Von der Leyen o altra persona, ma non è tanto questo che interessa, quanto piuttosto la procedura in base alla quale il nome verrà definito.
Una procedura antiquata, già vista e rivista in passato, che richiama i parti difficili e interminabili degli esecutivi italiani della prima Repubblica, parti dolorosi fatti di accordi e disaccordi, liti e compromessi, equilibri creati e disfatti nel giro di pochi giorni, programmi limati e ricomposti quotidianamente, comunicati serali smentiti al mattino.
Un tormento scandito dal manuale Cencelli di infausta memoria in cui i programmi politici e le scelte operative erano sempre subordinati al riparto delle poltrone fra i partiti, le correnti, le correnti delle correnti. Unico grande assente il popolo italiano il quale, interpellato il giorno delle elezioni, spariva il giorno dopo per lasciare il posto al cerimoniale oligarchico del Palazzo o, meglio, dei vari palazzi romani.
Lo stesso avviene in questi giorni nelle sacrestie politiche europee, nelle capitali del continente, nei corridoi di Strasburgo dove si studia il modo di costruire una maggioranza composita e delicata del tutto indifferente a quelle che sono state le indicazioni, piuttosto chiare, degli elettori continentali pur di mantenere inalterati i vecchi assetti di potere e, soprattutto, per escludere coloro che, pur legittimamente eletti, contestano quegli assetti.
Il tutto in un’assemblea parlamentare che, come abbiamo rilevato più volte, manca del potere fondamentale di ogni parlamento: quello di proporre leggi, facoltà riservata esclusivamente alla Commissione, il vero centro del potere europeista, un organismo altamente oligarchico i cui componenti sono designati dai governi e che, una volta insediati, non rispondono più neppure a quelli.
In una città come Bruxelles che a fine dicembre 2023 contava 12.445 organizzazioni lobbistiche iscritte ufficialmente nel relativo registro è facile immaginare quali siano i veri, grandi, forti referenti del potere esecutivo europeo, cioè quello della Commissione. E chissà se i tanti cantori della democrazia europea se ne rendono conto…
E in Francia? Stessa procedura: le scelte democratiche e popolari sono state sospese o addirittura accantonate grazie a un sistema elettorale a doppio turno tanto decantato (almeno dai francesi) quanto inefficiente, un sistema che, come hanno dimostrato le ultime elezioni, fa vincere gli sconfitti o quantomeno fa sì che gli sconfitti possano impedire ai vincitori di governare, realizzando una perversione democratica su cui sarebbe bello sentire il parere del Quirinale, magari utilizzando la strana teoria che hanno chiamato “democrazia della maggioranza”.
E poi ci sono gli Stati Uniti, dove il probabile vincitore delle prossime, e democratiche, elezioni presidenziali rischia un proiettile in testa e dove il potere vero, quello “forte”, non si sa da chi sia attualmente detenuto, essendo impossibile pensare che un vecchio signore affetto da un disastroso decadimento cognitivo sia in grado di pensare, decidere, realizzare il governo di una super-potenza mondiale.
Chi governa oggi gli Stati Uniti, quella che molti ingenuamente definiscono la più grande democrazia dell’occidente? Il deep state? La CIA? L’FBI? Il Pentagono? L’industria degli armamenti? Lasciamo ai lettori, democraticamente, di scegliere fra queste opzioni. L’importante è che non pensino che sia il popolo americano a governare la sua nazione.
D’altra parte, per capire quanto l’idea di democrazia vada sottoposta a revisione (ma non con i vecchi strumenti ottocenteschi proposti da Mattarella nel suo discorso), sfuggendo alla semplice logica maggioranza-minoranza, lo dimostrano due tragedie contemporanee: la guerra ucraina e quella israelo- palestinese.
Qualunque sondaggio d’opinione fra i popoli d’occidente, purché onesto, direbbe chiaramente che la maggioranza delle persone è assolutamente a favore della cessazione delle ostilità e per l’avvio di negoziati di pace, dal momento che la gente non vuol morire e non vuole veder morire gli altri, al di là delle colpe e delle responsabilità delle parti in causa.
Eppure le grandi democrazie dell’occidente non hanno mosso un passo in questa direzione e continuano nella loro politica bellicista “fino all’ultimo ucraino”.
Solo il povero Orbàn ha provato ad avviare qualche iniziativa, venendo sommerso da un’ondata di contumelie che si è spinta sino all’ipotesi di rimuoverlo, democraticamente, dalla presidenza di turno del Consiglio UE che gli spetta di diritto.
La realtà è che le democrazie occidentali vogliono una guerra in grado di piegare la Russia riportandola all’epoca zarista e dimostrare così la propria superiorità strategica in una pura, irresponsabile e pericolosissima logica di potenza. Per tacere degli interessi assai meno nobili costituiti dai fatturati delle industrie militari e delle imprese interessate al colossale affare della ricostruzione ucraina, il tutto democraticamente mascherato con la difesa della libertà e della dignità di un paese aggredito.
Tacciamo con molta vergogna su quanto sta facendo Israele, l’”unica democrazia del Medio Oriente”, a Gaza, e ci chiediamoci se i massacri attuati dal governo Netanyahu in quelle terre possano esser compatibili con una qualunque forma di “democrazia” intesa come civiltà e rispetto degli esseri umani, e a meno che non si riduca questa parola al semplice esercizio di libere elezioni. D’altra parte, quante volte abbiamo sentito in questi mesi la filastrocca secondo cui anche i dittatori sono saliti al potere con libere elezioni.
Ecco quindi la necessità, come abbiamo detto, di ridefinire l’idea stessa di democrazia in una società e in un mondo profondamente diverso da quello immaginato dal Presidente della Repubblica nel suo discorso triestino. Un mondo in cui la democrazia intesa in senso classico, come governo del popolo e per il popolo, è oggi ampiamente superata e dove il gioco maggioranza-minoranza che tanto sta a cuore a Mattarella è ormai del tutto marginale, un gioco per bambini -così come la contrapposizione letteraria fascismo/antifascismo- un gioco completamente ignorato dalle colossali concentrazioni di potere politico ed economico che superano ogni confine nazionale, ogni parlamento, ogni governo e ogni popolo e perseguono esclusivamente i loro interessi economici e di potere.
Un tempo, il potere era identificabile, aveva un volto, un nome e al popolo era talvolta concesso di tagliare la testa a un re e di massacrare un po’ di nobili, esercitando un riprovevole ma efficace diritto vagamente democratico.
Ma oggi quali teste tagliare? La grande industria, la grande finanza, la grande politica mondialista non sappiamo neppure dove abitano, e continueranno a dominarci dall’alto dei loro grattacieli blindati, tramite misteriosi consigli di amministrazione, dirigenze interfacciate, comitati parlamentari ristretti, agenzie governative, burocrazie di ogni tipo, enti dotati di totale irresponsabilità giuridica, tutto ormai non più identificabile, tutto lontano, tutto irraggiungibile.
E pensare che qualcuno, da noi, si è fermato a Popper, a Bobbio, a Dossetti, a De Gasperi.
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Concordo perfettamente con tutto ciò che ha scritto e devo dire che il finale è proprio la ciliegina sulla torta di questo interessante articolo. Peccato che in pochi si stiano rendendo conto di cosa sta succedendo a livello mondiale e questa cosa è veramente triste, pensare che nel 2024 siamo in queste condizioni disastrose.