Il significato di un voto europeo
Nell’ultimo articolo avevamo prospettato l’elezione, praticamente scontata, di Ursula Von der Leyen alla presidenza della Commissione europea. Elezione che è avvenuta però con il voto contrario dei parlamentari di Fratelli d’Italia, cosa che ha scatenato una serie di scandalizzate lamentazioni da parte delle forze d’opposizione italiane e di funeste considerazioni da parte dell’informazione ufficiale.
D’altra parte, Giorgia Meloni aveva ben chiarito, nei giorni precedenti l’elezione, che era profondamente contraria al merito e alla forma della designazione della baronessa tedesca. Per quanto riguardava il merito la Meloni rimproverava alle forze politiche europee (al Partito Popolare in particolare) di non volere un reale cambio di rotta su temi fondamentali come la sconsiderata transizione green, associando forze politiche di sinistra portatrici di un ambientalismo talebano, e tradendo così il chiaro segnale emerso dalla consultazione europea.
Per quanto riguardava la forma, rilevava invece come tali scelte fossero maturate in un cenacolo ristretto di potentati europei, essenzialmente nordici, con l’esclusione di un paese di prima grandezza come l’Italia e di altre forze politiche non appartenenti al ristretto club eurocratico.
Detto questo, proviamo a dare qualche valutazione su ciò che è successo.
Intanto, che esista un’Europa core, cioè un nocciolo di paesi più europei di altri, più coesi nei loro interessi, più determinati a imporre le loro scelte a tutti i consociati, appare ormai evidente: questi paesi, tra cui giganteggiano Francia e Germania coi loro satelliti nordici, avevano semplicemente deciso di riconfermare la Von der Leyen in quanto docile rappresentante delle loro ambizioni, docilità ampiamente dimostrata nei cinque anni precedenti.
Vorremmo far notare un dettaglio che sembra sfuggito alla maggior parte dei commentatori politici: la Von der Leyen era praticamente candidata unica. Possiamo chiederci quale pseudo-democrazia presenta ai votanti un unico nominativo che può solo essere preso o lasciato? Persino l’autocrate Putin, plebiscitato nelle elezioni di marzo, aveva almeno formalmente altri tre concorrenti per salvare le apparenze.
Secondariamente, la baronessa che ci governerà ha guai molto seri con la giustizia: è stata condannata dalla procura europea per mancata trasparenza sull’acquisto dei vaccini covid ed è tuttora sotto indagine da parte del tribunale di Liegi per le gravi irregolarità della medesima trattativa condotta in modo assai casalingo, tramite SMS, con Albert Bourla e per la loro successiva incomprensibile (o comprensibilissima?) distruzione. Si tratta di ipotesi di reato di dimensioni enormi se si considerano le loro implicazioni economiche a carico del bilancio UE. In Italia, probabilmente, la signora sarebbe ai domiciliari in attesa di giudizio; e, se si pensa che in passato uomini politici furono costretti alle dimissioni per aver copiato parti di una tesi durante gli studi universitari o per altre bagatelle, appare incredibile l’indifferenza delle istituzioni politiche europee e della stampa compiacente di fronte a un simile scandalo.
Ma veniamo all’Italia. La comunicazione politica prevalente ha battuto in questi giorni su un solo concetto dominante: “Meloni isolata in Europa”, “Meloni non tocca palla in Europa”, “Errori strategici costano alla Meloni l’isolamento in Europa”.
Intanto appare stupefacente, per questi giornali, che una leader politica prenda in Europa la decisione che aveva ampiamente promesso e annunciato nel suo paese: evidentemente la coerenza è virtù sconosciuta ai commentatori e ai giornali di grido anche se molto apprezzata dalla gente comune, o forse proprio per questo.
Secondariamente, questi giornalisti ritengono – non si sa in base a quale principio – che in Europa valga solo l’acquiescenza pecorina, che non si possa mai e poi mai dissentire dalla linea imposta da Bruxelles o da Strasburgo, altrimenti si viene orbanizzati e buttati fuori a calci dalle stanze del potere.
I più pensosi, fra questi commentatori, invocano il doloroso principio di realtà: se si vogliono portare a casa risultati per il proprio paese bisogna adattarsi alle richieste UE (ricordate il vecchio, patetico “ce lo chiede l’Europa”?) e non fiatare, altrimenti la suscettibilità degli eurocrati potrebbe trasformarsi in rabbia contro il dissenso e farla pagare ai ribelli mediante il più classico degli strumenti di ricatto, la chiusura dei rubinetti finanziari. La Grecia insegna ancora qualcosa, anche a distanza di tanti anni.
A questo è ridotta la nostra dignità nazionale?
D’altra parte, quali sanzioni potrebbe attuare Bruxelles contro un paese che, piaccia o no, rappresenta la terza economia europea, la seconda manifattura, la terza realtà demografica?
Perché, per una volta, non proviamo a porci una domanda fondamentale: è l’Italia che ha bisogno dell’Europa o è l’Europa che ha bisogno dell’Italia?
Staremo a vedere, ma in conclusione vorremmo porre in guardia chi ci legge da una minaccia che, proprio in questi giorni, e forse anche a seguito dello sgarro europeo di Meloni (è stata adombrata persino da Romano Prodi, euroinomane conclamato da sempre): l’abolizione del principio unanimistico nelle deliberazioni dell’UE.
Apparentemente si tratta di una cosa sensata: non si può andare avanti nella costruzione europea esigendo sempre l’assenso di tutti i paesi e dando quindi a chiunque un paralizzante diritto di veto.
A parte il fatto che sarebbe forse opportuno fermare il gigantismo europeo ponendo un freno all’espansione bulimica di competenze di un’Europa che vuole sempre più potere, sempre più campi d’azione, sempre più risorse, sempre più interventi; se passasse il principio del voto a maggioranza per l’Italia e per i piccoli paesi europei si profilerebbe una oscura minaccia.
Basterebbe infatti che, come nelle compagini societarie, i più forti unissero i voti per imporre le loro decisioni a tutti gli altri, soprattutto ai paesi più deboli economicamente e demograficamente. Un’Europa in mano ai suoi grandi soci di maggioranza (Germania, Francia e i nordici) sarebbe un sogno per questi ultimi e un incubo per gli altri, fra cui, probabilmente, l’Italia che -questa volta sì- verrebbe esclusa da molte decisioni fondamentali.
E’ proprio questo che vogliamo?
Ecco, cara presidente Meloni, un altro tema su cui riflettere seriamente e, forse, tentare un altro strappo dai poteri forti del nord.
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