
A quando la stagione della politica dalla schiena dritta?
Ursula von der Leyen serena per aver piegato il capo al volere dei Verdi e non essere stata impallinata dalla plenaria del Parlamento europeo, è andata in vacanza. Al suo rientro dovrà completare i tasselli della Commissione e intavolare incontri e compromessi con i partner europei.
Da mesi nelle stanze del potere, ma non nelle cancellerie europee, circolava il nome del ministro Raffaele Fitto, quale parafulmine designato dall’Italia per occuparsi a Bruxelles di dossier scottanti e strategici per il nostro Paese. Da notizie che ogni giorno assumono contorni maggiormente nitidi, pare che l’assegnazione della vicepresidenza della Commissione e di una casella autorevole degna di un ministro, si assottigli, tanto che per evitar figuracce, Giorgia Meloni stia pensando di dirottare la scelta su candidati di minor impatto e perché no, buttare nella mischia una donna?
Ma se la casella appropriata in seno all’Ue potrà rappresentare un miraggio all’orizzonte o un brutto incubo, per il nostro governo, le bastonate e pure umilianti sono già arrivate, niente meno che dalla Nato. L’umiliazione è cocente come la rabbia per aver perso l’opportunità di veder assegnata all’Italia una casella strategica, la cui esistenza e ruolo era stato addirittura richiesto da anni, da parte del governo italiano.
Il segretario generale della NATO, il socialista Jens Stoltenberg ha ufficializzato nei giorni scorsi che il Rappresentante speciale per il vicinato meridionale (Fianco Sud, cioè il Mediterraneo) sarà Javier Colomina, spagnolo vice assistente dello stesso Stoltenberg con già due deleghe importanti: gli Affari politici e la Politica di sicurezza e Rappresentante speciale per il Caucaso e l’Asia centrale.
«ll Medio Oriente, il Nord Africa e le regioni del Sahel sono importanti per la nostra Alleanza. Javier Colomina ha una vasta esperienza nei rapporti con i partner della Nato», ha spiegato Stoltenberg. Che così ha di fatto ignorato le proteste di Roma che da quasi dieci anni chiede all’alleanza maggiore attenzione al Fianco Sud e la nomina di un funzionario di alto livello ad hoc per la regione mediterranea.
Al vertice Nato del 9-11 luglio a Washington è stata approvata l’istituzione del rappresentante speciale e Roma aveva presentato un tris di candidati che sono stati ignorati dalla Nato.
L’Italia, offesa e umiliata, esce ancora una volta marginalizzata nei rapporti interni all’Alleanza Atlantica dopo che Giorgia Meloni aveva rivendicato il “successo” al summit di Washington, anche se la nomina di un rappresentante speciale per il Fianco Sud dell’alleanza non rappresentava nulla di così rilevante sul piano concreto, ma solo un passo simbolico che l’Italia riteneva però necessario.
Specie se si considera il Mediterraneo, non si deve dimenticare che è stato reso instabile proprio dai maggiori alleati della Nato: la destabilizzazione di Nord Africa e Sahel è conseguenza diretta delle primavere arabe del 2011 sostenute dall’Amministrazione Obama e la guerra alla Libia di Muammar Gheddafi venne scatenata da Usa, Gran Bretagna e Francia, con il ruolo ambiguo di Giorgio Napolitano.
Del resto la Nato rimane concentrata dal 2008 (vertice di Bucarest) e soprattutto dal 2014 (Maidan a Kiev) sul Fianco Est e il contrasto alla Russia e oggi guarda addirittura alla sfida con la Cina nell’Indo-Pacifico, ignorando di fatto le crisi nel Mediterraneo che impattano per lo più sulle nazioni del Sud Europa.
Ciò nonostante Roma non ha mai lesinato i contributi chiesti dalla Nato sul Fianco Est, inviando truppe e aerei nell’Est Europa e più recentemente persino la portaerei Cavour con due navi e 20 velivoli in Australia e poi in Giappone a sostegno delle richieste degli Stati Uniti.
Dure, ma inutili le reazioni registrate a Roma allo sgarbo subito. Il governo ha espresso “forti perplessità” per l’indicazione di un inviato “personale” di Stoltenberg a poco più di due mesi dalla scadenza del suo mandato in una lettera inviata allo stesso Stoltenberg dal rappresentante permanente dell’Italia alla Nato, l’ambasciatore Marco Peronaci, in cui si legge che «le autorità italiane hanno appreso della tempistica della decisione con grande sorpresa e disappunto». E si ricorda che «per essere efficace la politica della Nato verso il Sud necessita di un rinnovato approccio, non di una ridenominazione».
La stessa Meloni avrebbe affrontato direttamente Stoltenberg a margine della riunione della Comunità Politica Europea (CEP) svoltasi giovedì scorso a Woodstock, in Gran Bretagna mentre il ministro della Difesa, Guido Crosetto, in una intervista ha definito la nomina di Colomina «quasi un affronto personale, una profonda delusione. Ho scritto a Stoltenberg un messaggio durissimo. Mi ha fatto infuriare e ci saranno conseguenze sul piano dei rapporti personali. Il suo è stato il tradimento di un principio: era l’Italia a essersi battuta per introdurre il ruolo di inviato per il Fronte Sud. Stoltenberg non voleva. Ha dovuto metterlo nella risoluzione perché lo voleva l’Italia e così si è vendicato».
Crosetto ha poi aggiunto che Stoltenberg «Ha concluso i suoi 9 anni alla guida della NATO nel modo peggiore. L’Italia non ha un problema con la NATO, ha un problema con Stoltenberg. È lui l’unico responsabile, forse perché guidato da logiche di appartenenza politica, venendo meno alla prima delle sue responsabilità: essere super partes»
Il ministro degli Esteri Antonio Tajani conta invece sulla prossima nomina dell’olandese Mark Rutte, che a ottobre sostituirà Stoltenberg, per la “rivincita” italiana. «Mi auguro che la scelta del prossimo segretario generale sia più equilibrata e più rispettosa delle richieste italiane», ha detto Tajani, a margine del Consiglio Esteri a Bruxelles.
Quelle emerse dal governo italiano sono però interpretazioni che tendono a personalizzare la responsabilità della decisione nella figura di Stoltenberg, visione che non salva l’Italia dall’umiliazione soprattutto perché “Stoltenberg è la Nato” e l’alleanza in tutti questi anni non ha mai voluto offrire spazi all’Italia, né all’area del Mediterraneo.
Del resto quanto la Nato tenga in considerazione l’Italia e i paesi del Sud Europa lo si deduce anche dal fatto che in 75 anni Roma ha espresso solo un segretario generale. Ma si trattava di una personalità di rilievo mondiale.
ll liberale torinese Manlio Brosio, ricoprì il ruolo di Segretario generale della Nato dal1º agosto 1964 al 1º ottobre 1971, dopo aver svolto un’intensa e delicata attività diplomatica nelle principali capitali nel mondo
Brosio non aveva nulla da spartire con i bacherozzi dei nostri giorni con i curricula costruiti ad hoc. Solamente per il suo carisma ha svolto il delicato incarico per un periodo così lungo.
Al di là di sterili proteste e lamentele all’indirizzo dell’ormai dimissionario Stoltenberg, Roma, se volesse affermare la sua centralità nel Mediterraneo, dispone di molti mezzi per inviare messaggi concreti alla Nato.
Innanzitutto potrebbe richiamare i contingenti militari terrestri e aeronautici schierati nei dispositivi Nato dislocati in Lettonia, Ungheria, Polonia e Bulgaria. Se la Nato si disinteressa del Mediterraneo tocca a noi presidiarlo e ritirare queste forze dimostrerebbe che per l’Italia si tratta della priorità. Alla stessa stregua Roma potrebbe richiamare immediatamente dall’Australia aerei e navi oggi dislocati a Port Darwin. Se ai nostri alleati non interessa il Mediterraneo perché l’Italia dovrebbe avere a cuore la sicurezza dell’Indo-Pacifico?
Ulteriori iniziative rapidamente attuabili potrebbero riguardare il rallentamento o lo stop dei nostri aiuti militari all’Ucraina, oppure la rinuncia a finanziare il fondo che raccoglierà 43 miliardi di euro da fornire all’Ucraina entro la fine del 2025, proposta messa a punto proprio da Stoltenberg. O ancora la rinuncia dell’Italia a prendere parte con proprie forze alla nuova missione, varata dalla Nato al summit di Washington su proposta sempre di Stoltenberg, che coinvolgerà 700 militari per coordinare il sostegno militare a Kiev e l’addestramento delle truppe ucraine e da cui l’Ungheria si è già chiamata fuori.
Si tratta di contromisure che il governo potrebbe annunciare e attuare facendo valere il peso non irrilevante dell’Italia nei dispositivi militari alleati e rappresenterebbe anche una scelta dignitosa, dopo anni di inchini, rinunce e figuracce.
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