Il ricordo e la lezione del fondatore del Conservatorismo
L’elezione del presidente degli Stati Uniti è alle porte. E’ viva l’attenzione di osservatori e politici, tenuto conto del contesto internazionale precario e non privo di pericoli per il futuro dell’Umanità.
Risulta inevitabile la ricerca sulle elezioni del passato. Siamo grati all’acume di Gennaro Malgieri che, nel silenzio dei più, fa emergere il ritratto ed i meriti di Barry Golwater, a ventisei anni dalla scomparsa (29 maggio 1998) e a cinquant’anni dalla sconfitta elettorale nella tenzone con Lyndon Johnson. Era il 1964 è la figura del senatore dell’Arizona fu in Italia dipinta a tinte fosche dal grigiore del moroteismo imperante.
Golwater può invece essere definito la pietra miliare di un conservatorismo, che in un momento di grande disorientamento è ancora oggi in grado di polarizzare attenzione e sintonia da parte degli elettori.
Barry Golwater, protagonista per lunghi anni della vita pubblica degli Stati Uniti, fu, di fatto il rifondatore politico del conservatorismo statunitense. Rifacendosi alle idee di Russell Kirk, uno dei più straordinari ideologi del secolo scorso, poco e mal conosciuto in Italia, Goldwater ha polarizzato la destra americana con l’intelligenza e la passione del politico accorto che cerca di evitare l’emarginazione del conservatorismo.
Per usare un’espressione efficace di Malgieri,” ha preso per mano i conservatori americani e li ha portati a credere in se stessi, nella vittoria della loro visione del mondo fatta di spinte religiose, ideali patriottici, interessi civili e morali”.
Il senatore dell’Arizona, “per far capire come il conservatorismo, mutuato da una grande tradizione politico-culturale, non era sinonimo di “musealismo”, sosteneva: “E’ antiquato – diceva – ma l’accusa è assurda, e dovremo dirlo con audacia: le leggi di Dio e della natura non portano data”. E aggiungeva: “I principii sui quali si fonda la posizione politica conservatrice sono stati stabiliti da un processo che non ha nulla a che fare con il paesaggio sociale, economico e politico, il quale muta di decennio in decennio e da un secolo all’altro…I principii del conservatorismo sono derivati dalla natura dell’uomo e dalle verità che Iddio ha rivelato intorno alla Sua creazione”.
Verità che vivono da sempre nel cuore degli uomini e che in America, sono riuscite a farsi politica grazia ad una schiera di intellettuali che hanno saputo calare le idee-guida di un popolo nell’azione per dare al Paese un’anima.
E l’esperimento ha avuto successo al punto che il dominio, dalla seconda metà degli anni Sessanta ad oggi, del conservatorismo è indiscutibile, a parte le “parentesi” delle presidenze Carter e Clinton: dodici anni su oltre quaranta, hanno portato il segno del progressismo democratico alla Casa Bianca in una società che è radicalmente cambiata nelle strutture socio-economiche, ma che nell’essenza è rimasta sostanzialmente uguale a se stessa.
Così Barry Goldwater è riuscito a mettere insieme tutte le componenti della destra americana, con un processo che è passato alla storia come “fusionismo”.
Nel 1964, il senatore di Phoenix, era un politico sconfitto. In quell’anno, infatti, perse malamente la corsa alla presidenza contro Lyndon Johnson, ma la caduta gli ridiede nuova energia al punto di prendere nelle mani lo sconnesso e frastornato Partito repubblicano e chiamando liberali, conservatori, nazionalisti, movimenti religiosi di varia natura a ritrovarsi in un’autentica “crociata” contro la decadenza dell’America.
Fu così che il Grand Old Party riprese la corsa sull’onda della passione che gli trasmise quell’ambizioso intellettuale imprestato alla politica. Nel 1962 Barry Goldwater, con la collaborazione di L. Brenti Bozell, pubblicò il suo libro più importante, Conscience of Conservative. Ebbe ventidue edizioni e fu pubblicato in Italia nel 1964 dalle Edizioni del Borghese con il titolo Il vero Conservatore, passando quasi inosservato a testimonianza del provincialismo e della faziosità della classe intellettuale del tempo, come già accennato.
In questo saggio, che costituisce ancora oggi un riferimento imprescindibile per comprendere il conservatorismo, l’autore non si limita a rivendicare valori ed idee, ma li getta nella mischia della contesa politica facendoli interagire con i movimenti della sua epoca, al punto che la nuova “Bibbia” della destra americana venne letta come il manifesto politico del candidato alla Casa Bianca che aveva l’appoggio di Russell Kirk, del fusionista Frank Mayer, della scrittrice Ayn Rand (tardivamente scoperta in Italia grazie anche ad un film particolarmente intrigante). Milton Friedman. William Buckley ed altri.
Probabilmente la rivoluzione reganiana non ci sarebbe stata senza Goldwater il quale, nel Vero Conservatore, non manca di delineare una vera e propria filosofia conservatrice praticabile e non astratta anche in riferimento alle ideologie affini.
Il primo dovere di un uomo politico per Goldwater è comprendere la natura dei suoi simili. Il Conservatore non pretende di avere poteri di percezione speciali a questo riguardo, però è convinto, questo sì, di avere una particolare familiarità con la saggezza e l’esperienza accumulate dalla storia, e non è tanto orgoglioso da rifiutarsi di imparare dai grandi cervelli del passato”.
Insomma, per il conservatore le priorità sono la salvaguardia dell’integrità spirituale della persona e la sua “unicità”: “Il lato mortale stabilisce la sua assoluta differenza rispetto ad ogni altro essere umano”, scriveva Goldwater. Ciò vuol dire che soltanto una filosofia delle differenze può colmare le diseguaglianze, permettendo lo sviluppo di ciascuno secondo le proprie possibilità.
La lezione di Goldwater è tutt’altro che “passatista”. “Se la facessero propria i conservatori contemporanei, in ogni angolo dell’Occidente, probabilmente la lotta ai nuovi nemici, innumerevoli e poliformi, che si manifestano, avrebbe maggiori possibilità di essere vinta”, conclude Malgieri.
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