Da il Fatto… ai fatti quotidiani di Piero Flecchia
Con un linguaggio molto personale, Piero Flecchia ci porta nella politica internazionale con quel distacco di chi conosce l’uomo e i suoi limiti sottolineando come “una spinoziana coerenza interna tiene le cose nel bene come nel male”. C.M.
Consiglio caldamente la lettura dell’elzeviro di Marco Travaglio su “Il Fatto Quotidiano” in data 16 marzo sul tribunale dell’Aja.
Purtroppo la politica internazionale, e proprio come previde il generale presidente USA, Dwight D. Eisenhower, è ormai in mano a criminali, che agiscono secondo la stessa pura logica di rapina che caratterizza la mafia.
Il paludamento retorico, che loro sartorializzano le pennanullità dei giornaloni, essenzialmente persegue l’occultamento di questa fosca realtà feroce; ma basta leggere, avendo presente la logica di Totò Riina e di MMD, i diari di Galeazzo Ciano e si capisce che tutta la vicenda Truce e “consorti sui” fu un episodio di pura colonizzazione mafiosa ventennale della politica italiana.
Oggi bande mafiose si contendono la presidenza USA, come si evince nella figura di the Donald, ma anche dei vari Clinton, Obama, e via procedendo, fin dai tempi di Nixon padre.
Questi USA, e la Russia messa su da Putin, come Travaglio, Orsini e altri collaboratori del Foglio vedono, si combattono per interposta Ucraina, mossi da quella logica colonialista insensata che, in ambito italiano – in ragione della nostra condizione di paese a sovranità limitata – per gradi, dalla Resistenza, per il delitto Moro e Mani Pulite, ha condotto il paese al neofassismo ben poco rosé, meloniano; il cui traguardo è la restaurazione del codice Rocco.
Un traguardo fermamente perseguito da tutta la classe dirigente nostrana, che appunto in questa chiave autoritaria intendeva usare già il PCI di Berlinguer, poi Craxi e poi il cattocomunismo: ha usato in seguito il televisionario genio del cavBallista, che di bel vezzo mignottoso s’è lasciato garbatamente usare.
Queste bande politiche mafiose, come insegna la vicenda del Truce, vogliono prendersi tutto. E se il tutto di Totò Riina era Palermo, il tutto di questi Riina al cubo è il mondo, come appunto descrive la presente guerra d’Ucraina, e le troppe appena trascorse altre guerre ricapitolate nel chirurgico elzeviro travagliano.
Questi Totò Riina che recitano Cesare sui loro locali palcoscenici, tra gli applausi scroscianti delle loro ciclopiche consorterie di olgettinici profittatori, si trovano però a fare i conti con le leggi dell’economia, anche se pure di queste cercando di non tener conto.
Di questo tentativo di aggirare le leggi dell’economia i risultati sono l’inflazione e uno smisurato debito pubblico.
È proprio dal rifiuto di sottostare alla logica dei mercati aperti e alla tagliola dell’inflazione nonché del debito pubblico che questi vari Matteo Messina Denaro al cubo, prigionieri della loro logica di rapina, finiscono per imperare facendo declamare dai loro cleri e pennanullità la urgente necessità di difesa dei valori santi della religione e della patria e della famiglia, la guerra nella sua forma assoluta: la meccana Guerra Santa. Si giunti che il Riina russo aveva perfin qualche non marginale ragione, ma che non poteva permettere si risolvesse, come tra Italia e Austria, la questione sud Tirolo. Era la sua occasione di sottrarsi alla logica economica, con una grande mossa retorica alla Truce abissino, circa, o alla Hitler messia del pan-arianesimo.
Ma anche la guerra deve sottostare alle leggi economiche.
E sull’economia di guerra esiste uno splendido scritto dell’economista Attilio Cabiati: un libello edito dalla Einaudi nel 1941, dove si formalizzano le esperienze delle gestioni economiche della prima e della seconda guerra mondiale, la cui lettura illumina anche le ragioni della presente crisi.
Consiglio di leggerlo, anche per quanto dalle pagine del pamphlet balzi chiaro il non senso di ogni guerra; la cui ragione prima è una rozza decisione di ricostruire un equilibrio politico.
Entro questa logica, Putin a questo punto sarebbe disposto alla pace, perché ormai controlla tanto la Crimea che le zone russofone dell’Ucraina: appunto come Hitler era pronto alla pace dopo la conquista della Francia.
Ma non ai signori della Nato: alle bande che gestiscono, e fin dal kennediano disastro del Vietnam, nel disastro permanente, tra petrolio arabo, finanza anglosassone, e necessità del sionismo alla BB, l’impero mafioso amerikano, la pace di Putin non sta bene.
Anche perché in questo impero sono in corso vari pesanti regolamenti di conti, come descrive oggi il rifiuto dei sauditi di ricapitalizzare il Credit, costringendo la Svizzera ad assumerne il grave onere. Regolamenti di conti dei quali, con le tante guerre locali, emergenze clamorose sono le Torri Gemelle, l’assassini Gheddafi et simila; da noi il delitto Moro, la strage di Bologna ecc. ecc.
Il libro di Cabiati “Il finanziamento di una grande guerra” (Einaudi 1941) è una pietra miliare.
Cabiati che, come Gaetano Mosca – a differenza del suo intimo amico Luigi Einaudi e del filosofo vesuviano – non si illuse mai che si potesse usare il fassismo in chiave di difesa del liberalismo.Questa è appunto la logica entro la quale prese forma già la ur-strage che determinerà tutte le non poche successive della nostra Repubblica: la strage di Portella delle ginestre, dove conversero banditismo, mafia, separatismo e stragismo di stato, la cui finale apostrofe rosa fu una tazzina di caffè al cianuro per Gaspare Pisciotta, pendant di quella con la quale si risolse la andreottiana partita Sindona.
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