L’Artico è al centro di crescente attenzione, non solo a causa dei cambiamenti climatici che stanno riducendo il ghiaccio marino nelle regioni polari. Questo fenomeno ha stimolato l’interesse dei Paesi che si affacciano sull’Artico e non solo, poiché si stanno aprendo nuove opportunità per sfruttare le risorse minerarie e per sviluppare nuove rotte marittime. La diminuzione del ghiaccio ha anche generato nuove questioni territoriali, in particolare per la Russia che sta cercando di estendere la propria zona economica esclusiva per poter sfruttare le ricchezze naturali presenti sui fondali marini. Questa situazione ha portato ad un crescente militarizzazione dell’Artico, con la Russia che sta implementando una politica aggressiva, mentre gli Stati Uniti e i loro alleati stanno reagendo in modo diverso.
Un ipotetico conflitto per il controllo dell’Artico si svolgerebbe principalmente attraverso operazioni aeronavali e anfibie, coinvolgendo isole e stretti cruciali come la Groenlandia, Svalbard, Jan Mayen, Terra di Francesco Giuseppe, Nuova Zemlja e Severnaja Zemlja. Inoltre, lo Stretto di Bering e gli accessi al Mare di Barents sarebbero teatro di confronto aeronavale. Il Giuk Gap, tra Groenlandia, Islanda e Regno Unito, sarebbe un punto strategico costantemente controllato dalla Nato a causa della proiezione russa verso l’Oceano Atlantico. In un ipotetico conflitto, il primo colpo potrebbe essere sferrato tranciando i cavi di comunicazione avversari nelle profondità marine. Il campo di battaglia sarebbe diverso a seconda dell’attore che assume l’iniziativa, ad esempio un attacco russo ipotetico.
La conquista di queste aree consentirebbe il controllo della rotta artica e, grazie alle Svalbard, la capacità di estendere l’influenza nel Mar Glaciale Artico, creando una nuova zona di Anti Access/Area Denial e utilizzandola come base per attaccare le installazioni alleate in Groenlandia e Islanda.
Le condizioni ambientali estreme richiedono operazioni durante il periodo di riduzione del pack ice, sfruttando la superiorità nei rompighiaccio per garantire i rifornimenti.
L’importanza della componente aerea è fondamentale e la Russia sta intensificando le operazioni nella regione artica, con dispiegamenti di bombardieri strategici nella penisola di Kola, missioni addestrative nei cieli artici e la presenza occasionale di caccia MiG-31 per testare le capacità in condizioni artiche. Questi aerei, nella versione K, possono lanciare il missile balistico ipersonico Kh-47M2 per attacchi di precisione a lungo raggio.
Il conflitto si concentrerebbe principalmente sulle operazioni aeronavali: la flotta russa verrebbe impiegata in tutte le sue componenti – superficie, aerea e subacquea – per proteggere i convogli e le operazioni di sbarco in un ambiente familiare che rappresenta da tempo il “bastione” dei sottomarini lanciamissili balistici a propulsione nucleare.
Non è esclusa la possibilità di azioni terrestri verso i porti e le basi nel nord della Norvegia, violando la “neutralità” ormai quasi inesistente di Finlandia e Svezia per estendere la sicurezza delle proprie linee.
La Nato risponderebbe inizialmente con l’obiettivo di interrompere i tentativi di sbarco e di interdire le linee di navigazione marittime e aeree utilizzando le proprie forze navali e aeree basate in Norvegia, Regno Unito, Islanda (Keflavik) e Groenlandia (Thule). Gruppi di portaerei statunitensi e britannici verrebbero impiegati, e forze preventive sarebbero dispiegate in Islanda, Norvegia e Groenlandia per fornire un deterrente contro possibili invasioni. Dall’Alaska e dagli avamposti nelle Aleutine, l’attività di contrasto agli sbarchi russi nel Mare di Bering sarebbe coordinata dalla base aerea di Elmendorf. La U.S. Navy sarebbe in prima linea su questo fronte. La Nato e gli Stati Uniti otterrebbero facilmente la superiorità aerea, rendendo difficile la sopravvivenza dei contingenti da sbarco russi. Una volta consolidata questa superiorità, l’Alleanza procederebbe alla riconquista delle isole occupate con uno sbarco anfibio massiccio, contrastato principalmente dall’aviazione russa e dalla componente sottomarina. La Nato ha aumentato l’addestramento in climi freddi, organizzando esercitazioni in Norvegia e in Islanda, con la partecipazione di distaccamenti di Marines in assetto da sbarco durante il Trident Juncture 2018.
Ad ogni modo, ad oggi lo scenario prospettato risulta al quanto lontano. A meno di un coinvolgimento militare diretto fra le forze occidentali e quelle russo-cinesi.