La Siria precipita verso un futuro di instabilità e radicalizzazione
La caduta del regime di Bashar al-Assad, annunciata con enfasi dalle forze ribelli nella notte, segna l’inizio di una nuova e preoccupante fase nella storia della Siria. Dietro la celebrazione di una “nuova era” proclamata dai leader di Hayat Tahrir al-Sham (HTS), il gruppo islamista che ha guidato la presa di Damasco, si profilano scenari di profonda instabilità per la regione e un probabile ritorno del fondamentalismo islamico, che rischia di alimentare nuove ondate migratorie e tensioni geopolitiche.
Un vuoto di potere che rischia di travolgere la Siria
La conquista di Damasco da parte di HTS, un’organizzazione di matrice jihadista già affiliata ad al-Qaeda, non lascia presagire un futuro di pace per la Siria. La rapida avanzata dei ribelli, iniziata dieci giorni fa dalla regione di Idlib, ha travolto i fragili equilibri di un paese già devastato da più di un decennio di guerra civile. Con il crollo del regime alawita, il potere potrebbe finire in mano a forze estremiste, riportando il paese indietro di anni e aprendo la porta ad un nuovo capitolo di violenze settarie e di radicalizzazione religiosa.
Le immagini dei festeggiamenti nelle strade di Damasco, con la statua di
Hafez al-Assad abbattuta e calpestata, mascherano una realtà più cupa. Mentre migliaia di prigionieri politici sono stati liberati dal carcere di Sednaya, cresce il timore che molti di loro possano unirsi ai gruppi armati, alimentando il caos. Il controllo delle istituzioni pubbliche è stato temporaneamente affidato al primo ministro uscente, Mohammed Ghazi Jalali, ma questa fragile transizione appare poco più di una facciata per un paese sull’orlo dell’anarchia.
Un Medio Oriente più instabile
Il crollo del regime di Assad avrà ripercussioni ben oltre i confini siriani. La Siria, da sempre un crocevia strategico del Medio Oriente, rischia ora di diventare il teatro di una nuova fase di conflitti settari tra sunniti e sciiti. La vittoria di HTS, un’organizzazione sunnita radicale, rappresenta un colpo duro per l’Iran, che vede indebolita la propria influenza nella regione, e per la Russia, che perde un alleato storico e un’importante base strategica sul Mediterraneo.
Ma dietro l’apparente debolezza di Mosca e Teheran c’è l’ombra di una strategia ben orchestrata da Stati Uniti e Israele. La Casa Bianca ha monitorato da vicino gli sviluppi, mantenendo stretti contatti con i suoi partner regionali, mentre Israele ha da tempo sostenuto in modo indiretto il contenimento dell’influenza iraniana in Siria. Questo doppio gioco, sebbene efficace nel destabilizzare il regime di Assad, lascia un vuoto di potere che difficilmente sarà riempito da forze moderate.
Il ritorno del fondamentalismo e la crisi migratoria
La presa del potere da parte di HTS potrebbe segnare il ritorno del fondamentalismo islamico in una regione già profondamente segnata dall’estremismo. Sebbene il leader del gruppo, Abu Mohammed al-Jolani, cerchi di presentarsi come un attore politico legittimo, la sua organizzazione è tuttora considerata un gruppo terroristico da Stati Uniti, Unione Europea e Canada. La possibilità che HTS imponga una rigida legge islamica e alimenti nuovi conflitti interni appare più che concreta.
A livello umanitario, la caduta di Damasco rischia di innescare una nuova ondata di migrazioni. Migliaia di famiglie, soprattutto appartenenti alle minoranze alawite e cristiane, stanno già lasciando le loro case per cercare rifugio in aree più sicure o nei paesi vicini. L’Europa, già provata dalla crisi migratoria del 2015, potrebbe trovarsi nuovamente a dover gestire flussi incontrollati di rifugiati, alimentando tensioni politiche interne e rafforzando i movimenti populisti.
Un gioco geopolitico pericoloso
L’indebolimento di Russia e Iran in Siria è visto da molti come una vittoria per Stati Uniti e Israele, ma questa strategia potrebbe avere conseguenze impreviste. La Russia, dopo aver giocato un ruolo cruciale nel mantenere Assad al potere dal 2015, si trova ora costretta a ritirarsi parzialmente, mentre l’Iran, già fiaccato da sanzioni economiche e proteste interne, potrebbe vedere compromessa la sua presenza in Medio Oriente.
Tuttavia, la destabilizzazione della Siria non è necessariamente un successo per l’Occidente. Un paese frammentato e dominato da forze estremiste rappresenta una minaccia per l’intera regione, aumentando il rischio di conflitti tra le potenze sunnite, come l’Arabia Saudita, e quelle sciite, come l’Iran. Allo stesso tempo, il vuoto di potere potrebbe favorire l’emergere di nuovi gruppi jihadisti, capaci di sfruttare il caos per rafforzarsi e minacciare la sicurezza globale.
Conclusioni: una fragile vittoria
La caduta di Bashar al-Assad non rappresenta una soluzione ai problemi della Siria, ma piuttosto l’inizio di una nuova fase di incertezza e violenza. Mentre le forze ribelli festeggiano la loro vittoria, il paese si trova sull’orlo di una crisi umanitaria e geopolitica di proporzioni storiche.
Il rischio che la Siria diventi un nuovo Iraq o Afghanistan, terreno fertile per il terrorismo e simbolo di un fallimento internazionale, è più concreto che mai. Le prossime settimane saranno decisive, ma il futuro della Siria appare già segnato da divisioni profonde e conflitti irrisolvibili.
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