Come si governa con l’ideologia
Il 4 marzo scorso le due Camere di Francia, riunite congiuntamente nella reggia di Versailles, hanno deliberato di inserire nella costituzione il diritto di aborto per le donne.
Come è stato ampiamente sottolineato, si tratta della prima nazione al mondo a prendere una simile iniziativa e non sappiamo quante altre vorranno o non vorranno seguirla. La certezza è che la strada si è aperta.
Ora, non vogliamo entrare nell’eterno dibattito etico sull’aborto: restiamo fermamente convinti che la soppressione violenta di una vita, che sia allo stato embrionale oppure ad uno stato di sviluppo più evoluto, resti sempre e comunque un dramma per la donna, una tragedia per il concepito, una violazione dell’ordine naturale delle cose, giustificabile solo in casi estremi.
Affermare un diritto di libertà per una donna negando radicalmente il diritto alla vita a un essere totalmente indifeso ci sembra un atto ingiustificato e ingiustificabile se non, come detto, in casi estremi. Nessun contorcimento verbale e argomentativo ci potrà mai smuovere da questa posizione. Rispettiamo naturalmente l’opinione opposta, ma senza entusiasmo.
Ecco, quello che ci è parso fastidioso in questa vicenda è proprio, invece, l’entusiasmo con cui la politica e l’opinione pubblica francese hanno sposato la tesi abortista e la sua traduzione normativa nel nuovo precetto costituzionale.
La grande festa nazional-popolare di femministe, femministi, laicisti di tutte le gradazioni, demo-progressisti, liberal e radicali variopinti aveva però qualcosa di tristissimo in sé, di forzato, come certe feste di capodanno in cui è obbligatorio essere felici e guai a chi si apparta in silenzio. E pazienza fosse stata solo una festa francese: sappiamo quanto quel popolo si ecciti di fronte a ogni cosa nuova, purché appaia come nuova. Il fatto è che anche da noi quell’eccitazione ha fatto breccia, e i vari mezzi di informazione nazionali hanno esultato, lasciando sottintendere quanto avrebbero voluto essere al posto dei fratelli d’oltralpe.
Il tutto poi unito alla caccia ideologica ai movimenti pro-vita che, essendo espressione di un cattolicesimo profondo, rappresentano una dignitosissima forma di pensiero e di sentimento che va assolutamente rispettata; e in questo caso anche condivisa da chi, come noi, non ha mai fatto mistero di una profonda laicità, la quale però non è mai sconfinata in quel laicismo asinino che trova fertile terreno sia in terra di Francia sia altrove.
I movimenti pro-vita hanno avuto e hanno il grande merito di ricondurre un fenomeno come l’aborto dalla spensierata rivendicazione di presunte libertà femminili al terreno reale del dramma, del tormento di una scelta fra vita e morte, fra maternità e sua negazione. Le fanciulle, le madame e perfino le nonne dell’onda femminista -coi loro cortei a mezza strada fra carnevali e feste danzanti- ne fanno invece una rivendicazione sindacale nel migliore dei casi, e una sorta di semplice contraccezione postuma nel peggiore.
Un vecchio luogo comune liberale, in cui crediamo fermamente, sostiene che non possono esistere diritti assoluti di un soggetto che contrastino coi diritti di altri soggetti. L’unica eccezione a questo principio, affermata a gran voce dall’onda femminista, sembra essere proprio il diritto di aborto, anche se contrasta in modo radicale con il nascente ma concreto diritto alla vita del concepito. La morale e il diritto non sembrano aver ancora risolto pienamente questa contraddizione, anche se ormai il diritto all’aborto è ampiamente e solidamente recepito nella stragrande maggioranza delle legislazioni moderne.
Che poi qualche giurista in vena di sofismi abbia distinto fra diritto e libertà d’aborto, con tutta una serie di fumose conseguenze normative, poco importa. Resta il fatto che oggi, nei paesi liberali e democratici, la donna può tranquillamente abortire a certe condizioni senza temere ritorsioni da parte dell’ordinamento. Ma anche qui, oltre alla tutela delle associazioni pro-vita che hanno tutto il diritto di affermare le loro posizioni e porre in essere tutte le loro attività dirette a scoraggiare la pratica abortiva senza subire l’ira funesta delle laiciste e dei laicisti più ringhiosi, va garantita anche l’obiezione di coscienza da parte di quel personale sanitario che legittimamente rifiuta quegli interventi.
Si tratta di un giusto e necessario bilanciamento di diritti -con le relative tutele- che l’ordinamento deve garantire contro gli eccessi del fanatismo, di ogni fanatismo, come avviene in ogni vero sistema liberale.
Non sappiamo quale sia l’esatta formulazione della modifica costituzionale attuata in Francia (approfondiremo), ma ci piacerebbe che essa prevedesse appunto quel bilanciamento di cui abbiamo appena detto, anche se ci sembra improbabile vista l’enfasi e la retorica con cui si è rivestita quella decisione, presentata urbi et orbi, e con incredibile iperbole, come nuovo “faro di civiltà”.
E qui varrebbe la pena di fare una considerazione più strettamente giuridica.
E’ stato fatto notare come l’inserzione del diritto d’aborto nella costituzione francese presenti un discutibile elemento di “gratuità”, vale a dire che non c’era nessuna necessità di tale operazione essendo tale diritto, come detto prima, già ampiamente recepito dal sistema giuridico vigente.
Che si volesse rafforzare un diritto ritenuto non sufficientemente garantito dalla legislazione ordinaria può essere; che si volesse evitare un futuro ipotetico regresso o depotenziamento normativo rispetto a un diritto già acquisito dall’ordinamento può ugualmente essere; ma quello che traspare con tutta evidenza da questa operazione politica è invece un velleitarismo ideologico che in Francia è un po’ un tratto psicologico collettivo sin dalla Rivoluzione del 1789.
Si è voluto cioè inserire il diritto d’aborto in costituzione non per rafforzarlo ma essenzialmente per compiacere l’ideologia abortista delle classi dirigenti e della grande borghesia illuminata, e di quella più piccola che pensa sé stessa come illuminata. E forse era il minimo che ci si potesse attendere dopo l’ascesa alla carica di primo ministro di un politico giovanissimo e dichiaratamente omosessuale; cosa assolutamente lecita, beninteso, ma che illumina efficacemente una certa tendenza woke delle politiche contemporanee a governare attraverso simboli e scelte d’immagine più o meno espliciti, ma sempre ben graditi al pensiero corrente.
Governo dell’ideologia e attraverso l’ideologia, appunto. E magari anche molto opportunismo.