
Chi verrà dopo Francesco? Il difficile futuro della Chiesa senza il suo mediatore
Con Papa Francesco si chiude un’epoca. Il suo pontificato ha rappresentato un equilibrio instabile ma necessario: mediazione costante tra conservatori e progressisti, apertura e tradizione, diplomazia globale e rigore dottrinale. Ora che la fine del suo ministero si è manifestata, la questione della successione diventa cruciale, non solo per i fedeli, ma per l’intero assetto della Chiesa cattolica nel mondo.
Bergoglio è stato un Papa atipico fin dall’inizio. Gesuita, ma eletto con l’appoggio dei settori più influenti dell’Opus Dei. Vicino al Sud del mondo, ma perfettamente consapevole del potere che si esercita dal Laterano — non dal Vaticano — dove ha adottato una politica cerchiobottista: aperture ai Lefebvriani da un lato, dialogo con i vescovi progressisti del Nord Europa dall’altro. Nessuno è rimasto pienamente soddisfatto, ma l’unità della Chiesa è stata, fino ad oggi, mantenuta.
Francesco ha rifiutato di piegarsi all’asse occidentale e filoamericano, spingendo il cattolicesimo verso una postura geopolitica autonoma, quasi terzomondista. Ha cercato il dialogo con la Cina, mantenuto distanze critiche dai grandi blocchi e rilanciato il ruolo della Chiesa come soggetto globale non allineato. Ha voluto una Chiesa meno dottrinaria e più comunicativa, più vicina ai poveri che ai teologi. Ha parlato con semplicità, lasciando da parte le raffinatezze intellettuali di Benedetto XVI.
Ma proprio questa complessità resa semplice rende difficile immaginare un successore. Chi verrà dopo Francesco erediterà una Chiesa ancora viva, ma attraversata da tensioni profonde. Se il prossimo Papa dovesse essere scelto tra i candidati occidentali — europei o nordamericani — si rischia di cristallizzare la contrapposizione tra tradizionalismo e globalismo, importando nella Chiesa le dinamiche di una politica secolarizzata.
La Chiesa, invece, deve rimanere altro. Deve essere universale, nel senso pieno del termine cattolico. Non può ridursi a una fazione ideologica, né diventare uno specchio delle guerre culturali del mondo laico. Per questa ragione, la scelta di un Papa extraeuropeo sarebbe un atto simbolico e politico di grande forza. Sarebbe il segno di una Chiesa che continua a guardare oltre le frontiere del vecchio mondo, riaffermando la propria vocazione globale.
Il prossimo conclave non sarà solo una questione di nomi. Sarà una decisione identitaria. Sarà lo specchio della volontà — o meno — di salvare la Chiesa dall’involuzione in un “parlamentino liberale”, dove destra e sinistra si contendono l’anima del sacro. Francesco, con tutti i suoi limiti e ambiguità, ha impedito questa deriva. Il suo successore dovrà, in qualche modo, continuare questa missione.
In gioco non c’è solo un pontificato, ma l’avvenire stesso della Chiesa. E della sua capacità di essere ancora, nel mondo, segno di unità e non di divisione.