
L’ignavia del partito del “non voto” nei comuni d’Italia (di Alessandro Mella)
Sono tempi oscuri per la politica e la pubblica amministrazione. I politicanti nazionali poco ispirano il voto e la militanza attiva; questo scoraggia ed amareggia un elettorato stanco, deluso ed ormai privo di prospettive ed orizzonti.
Ma non recarsi alle urne, non andare a votare, è sempre un errore. Un errore nella sostanza perché alla classe politica stessa si invia un segnale di rassegnazione, di “liberi tutti”, di disinteresse che toglie spirito a chi vuol fare ma in cui sguazzano i farabutti che fanno della politica stessa una bottega a proprio uso e consumo.
Nelle elezioni locali, poi, astenersi è doppiamente negativo perché vuol dire far male a sé stessi. Un municipio che non elegge un consiglio comunale, senza sindaco, è un comune commissariato. Cioè operante a marcia ridotta, azzoppato, dal momento che i commissari di nomina prefettizia si limitano all’ordinaria amministrazione.
Si rinuncia alle opere, alla progettualità, al futuro, al turismo, alle iniziative che smuovono economia, lavoro e vita, si perdono bandi e fondi e quindi si riduce la capacità di rispondere concretamente alle esigenze dei cittadini. Anzi la si azzera. Un comune commissariato è un comune ingessato, bloccato, inchiodato. In cui il commissario si reca periodicamente a firmare le pratiche minime.
Non c’è progettazione, non c’è pianificazione, non c’è programmazione, non c’è il reperimento di fondi e bandi per agire secondo le necessità dei cittadini. Non ci sono risposte immediate. Un comune commissariato è una sciagura che danneggia tutti e tutte. Che procura disagi gravi. Che capiti occasionalmente è un disastro, cercarlo o caldeggiarlo è una vera follia.
Far del male a sé stessi ed agli altri per dispetto, disinteresse, rassegnazione, rancore o qualunque altra ragione è un qualcosa che non si può comprendere. In molti piccoli comuni, e non solo piccoli, la disaffezione si percepisce anche dalle difficoltà nel mettere insieme liste elettorali, anche civiche e prive di simboli di partito. Sintomo di una società che si scolla, che si lascia andare alla deriva, che non vuole saperne del proprio avvenire e farsi carico di sacrifici, oneri ed impegno.
So che andare a votare quando si presenta una lista sola può essere demotivante ma è importante andarci perché quei pochi, purtroppo, che si rendono disponibili ad assumersi responsabilità ed oneri possano operare nell’interesse di tutti.
Magari non saranno persone perfette ma ci mettono cuore, coraggio e sacrifici perché troppo spesso non ci si intasca un solo centesimo. Anzi si spende pure del proprio volendo essere precisi. È una forma di volontariato civico che sarebbe bello contagiasse più cittadini e cittadine. La critica è lecita, legittima, democratica ed anzi necessaria ma occorre far seguire proposte, tirarsi su le maniche, provare e portare la propria voce all’interno.
E se non si ha questa forza almeno andare alle urne per garantire che si possa disporre di qualcuno che lavori nell’interesse comune e non tentare di fare del famigerato “quorum” un mezzo per cercare vendette vuote. Soprattutto in tempi come questi in cui fare il sindaco pare una vera “vocazione al martirio”.
L’astensione è sempre un errore autolesionista, ambire a far commissariare un comune è come farsi del male da soli. Per questo a tutti e tutte, sommessamente, consiglio di andare alle urne. Sempre e comunque perché per questo diritto molti uomini e molte donne sono morti lungo decenni, secoli, di storia.
Almeno per onorare il loro sacrificio andiamo a votare. Ma sia quale sia il vostro voto, alle urne andateci. Mai disertarle, mai disonorarle non andandoci, mai ritirare solo le schede che fanno comodo. Non giova a nessuno, meno che mai a questa democrazia che per imperfetta che sia resta migliore delle troppe tirannie che si affacciano pericolosamente sul nostro domani. Libertà, cantava un Gaber d’altri tempi, è partecipazione. Votare è un dovere e solo dopo un diritto.
Alessandro Mella
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