
Dopo la sentenza di condanna di Marine Le Pen
Marine Le Pen è stata estromessa per via giudiziaria dalla politica francese. La cosa ha compiaciuto molti e reso esterrefatti molti altri: apprezzabile riaffermazione del principio secondo cui la legge è uguale per tutti oppure uso golpista del diritto per scopi antidemocratici?
Proviamo a distinguere l’apparenza dalla realtà.
Intanto di che reato si tratta? Non conosciamo l’esatta qualificazione del fatto secondo il diritto francese, ma verosimilmente -e se abbiamo ben capito- è una fattispecie molto vicina alla nostra truffa ai danni dello stato o all’appropriazione indebita di fondi pubblici, avendo la signora Le Pen e altri esponenti del suo partito utilizzato personale pagato dall’UE in attività riconducibili non a finalità istituzionali europee bensì ad attività partitiche o comunque proprie della sfera politico-personale dei parlamentari. In parole povere, avrebbe fatto pagare all’Europa persone utilizzate nel suo partito e nell’interesse di quest’ultimo.
Una prima considerazione. In quasi tutto il mondo i politici -sia che rivestano incarichi di governo sia che non li rivestano- hanno al loro servizio impiegati e funzionari che li aiutano nel loro lavoro: in alcuni casi essi sono pagati dallo stato, in altri di tasca propria dal politico.
In Italia ministri, sottosegretari, presidenti di pubbliche istituzioni dispongono di segreterie particolari che, come dice il nome, li coadiuvano nei loro compiti ma che, in moltissimi casi, esplicano anche funzioni di coordinamento e di collegamento sia coi partiti sia con i collegi elettorali di provenienza.
Gli assistenti parlamentari -i “portaborse”, per intenderci- da noi sono alle dipendenze, appunto, del parlamentare ma curano, fra le altre cose, anche le “relazioni esterne”, espressione pudica per significare gli interessi personali e partitici del deputato o senatore. Sono formalmente pagati dal parlamentare, ma tramite un’indennità che gli viene erogata dall’erario, e quindi anche qui con denaro pubblico.
Se si volesse procedere penalmente contro questi politici per un reato simile a quello attribuito a Marine Le Pen si dovrebbe distinguere con assoluta certezza fra l’attività delle segreterie particolari e dei portaborse al servizio dell’istituzione e quella al servizio (anche partitico) del singolo politico. Cosa estremamente difficile per non dire impossibile, tant’è che non ci risultano procedimenti giudiziari in tal senso. Per vecchia esperienza personale, anche chi scrive, avendo ricoperto in passato quelle cariche, non sarebbe a tutt’oggi in grado di individuare esattamente la differenza.
Una seconda considerazione. Il reato per cui è stata condannata la Le Pen può certamente essere reale, pur con tutte le incertezze e le approssimazioni in fatto e in diritto sopra descritte, e probabilmente giustifica una condanna penale, anche se per ora solo in primo grado e quindi del tutto provvisoria; ma quel che lascia tremendamente perplessi è l’interdizione dai pubblici uffici immediatamente esecutiva, il cui cattivo odore politico è molto percepibile e rende maleodorante tutta la vicenda giudiziaria.
Il procedimento, con la conseguente interdizione, arriva in tempi molto sospetti dopo anni di letargo giudiziale, e proprio in tempo per stroncare la candidatura presidenziale di Marine.
Ricordiamo la vicenda giudiziaria di Berlusconi, a cui fu applicata la decadenza dai pubblici uffici ai sensi della legge Severino solo dopo una discutibilissima, ma comunque definitiva, sentenza di Cassazione. Cosa ben differente dall’applicazione immediata a seguito di sentenza provvisoria, e soprattutto, come è stato ben sottolineato anche da Sabino Cassese, applicazione assolutamente discrezionale, così come la sua provvisoria esecutività, due decisioni del giudice che rivelano e accentuano la “politicità” del provvedimento.
Una terza considerazione. Su questa condanna si è detto, e si sta dicendo, molto sotto il profilo politico e staremo a vedere le reazioni della destra sovranista francese che, da un giorno all’altro, si è trovata senza la sua leader di riferimento, reazioni imprevedibili vista la tradizione protestataria francese che, in molte occasioni, assume toni e comportamenti assolutamente incendiari.
Quello che ci preme sottolineare è che questa sentenza -non definitiva, ripetiamo, ma che implica l’immediata ineleggibilità del maggior personaggio d’opposizione- si inserisce in una serie di eventi a livello europeo che definire inquietanti è decisamente riduttivo.
Dopo il caso Georgescu in Romania e le affermazioni di Thierry Breton sul diritto di annullare il voto tedesco qualora avesse vinto l’AFD, la sentenza Le Pen si accoda e si inserisce a pieno titolo nella deriva autoritaria europea.
Certo, si tratta di condanne e atti politici ben mascherati, ben congegnati, ben presentati, ma assolutamente non convincenti. Noi che seguiamo il “paradigma indiziario” di Carlo Ginzburg, riteniamo che quasi sempre i fatti sono legati da un fil rouge che ne rivela le recondite intenzionalità e progettualità, e mai come in queste vicende appare evidente una tentazione autoritaria (e forse perfino totalitaria) delle classi dirigenti europee, o euro-atlantiche, che pesa oscuramente sul nostro futuro.
L’idea di una “democrazia armata”, che solo qualche decennio fa produceva le convulsioni in ogni sincero democratico, oggi sembra acquisire, ogni giorno, un pugno di rispettabilità in più, fino a raggiungere la rilevanza che tutti vediamo, e cioè il superamento del momento elettorale inteso da sempre come suprema affermazione dell’idea democratica.
Dalla necessità di mettere certe decisioni tecnocratiche “al riparo dal processo elettorale” teorizzata da Monti (che per inciso siede in parlamento, ma naturalmente non eletto bensì nominato da un altro nominato) fino alla revoca del voto rumeno; dal golpe italiano contro Berlusconi del 2011 al massacro economico della Grecia e della sua opinione pubblica nello stesso periodo; su su fino all’imposizione di un riarmo rifiutato dalla maggioranza dei popoli europei, l’Europa (ma anche una certa America) sembra scivolare verso un’oligarchia tecnocratica che non si preoccupa neppure più di mascherare il suo evidente rifiuto della democrazia come l’abbiamo vissuta dopo la fine della seconda guerra mondiale.
Si tratta di oligarchie sempre più piene di se stesse, sempre più isolate da quei popoli che non fanno neppure più finta di rappresentare, oligarchie convinte che le paure create e indotte nell’immaginario collettivo possano piegare la percezione della realtà, la ragione, la volontà -e infine il consenso- delle genti.
Visto che abbiamo iniziato parlando di Francia, chiediamo a queste sedicenti élites se ricordano una certa data: il 14 luglio 1789.
Dice nulla?
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