di Anna Antolisei
Che bastardo sei. Più bastardo del tuo cane. Lui avrà un’incerta genealogia, ma il figlio di buona donna resti inesorabilmente tu.
Vieni a domandarmi di portarlo là perché tu proprio non ce la fai, ti si spezza il cuore. Ti si spezza che? Beh, io mi sono sentita già troppe volte spezzata, smembrata, rotta e sbriciolata per quel che ho dovuto far fare ai miei, di cani, per sopportare un’altra volta lo stesso martirio, per ripercorrere un’altra volta la stessa via crucis. A beneficio di chi, poi, dovrei rifarlo; di un bastardo? Guarda che sto sempre parlando di te.
“Un animale delizioso”, mi dici, “dolce, gioioso, obbediente. Che peccato cambiare casa, che peccato non poterlo più tenere. Che peccato, lei proprio non sopporta le bestie, è allergica, e io non trovo nessuna persona abbastanza affidabile che lo voglia adottare, cosa ci posso fare! Aaah, ma piuttosto che saperlo in cattive mani, preferisco abbatterlo. Lui, tra l’altro, soffrirebbe troppo il distacco dal padrone, non l’accetterebbe, per lui non potrebbe mai essere come prima”.
Hai ragione; per lui non sarebbe mai più come prima. Lui ha un padrone solo; sei tu che ne hai troppi. E allora trovo che la risoluzione sia giusta. Provvedi prima, drasticamente, perché almeno non gli resti di te solo un’incolmabile nostalgia, un rimpianto straziante. Ma non sperare che io ti aiuti a far sì che – in te – di lui non resti proprio niente. E no: sei un uomo – giusto? – un uomo che sa vivere e scegliere. Allora sii uomo e portacelo tu, il tuo cane, là dove hai deciso.
Tranquillo, non è difficile: l’indirizzo lo sai, è lo stesso veterinario dal quale andavi quando era cucciolo, quando era il tuo tiepido, morbido giocattolo. Devi soltanto mettergli il guinzaglio un’ultima volta; lui ti salterà felice attorno e si fionderà in macchina esattamente come fa sempre, quando associa l’auto alle vostre domeniche in campagna, alle corse sfrenate nei prati. Magari farà un po’ di resistenza quando lo scaricherai davanti a quella porta che già conosce, quella con la croce blu dipinta sul vetro; ma solo un po’. Lui lo sa che, in fondo, in quel postaccio che puzza di disinfettante, ce l’hai sempre portato per il suo bene.
Con il veterinario avrai già l’appuntamento. Facilmente sarai tu a dover aiutare quel signore in camice bianco a metterlo sul tavolo troppo alto, nella stanza linda che sa di lisoformio. Ecco, da là sopra i suoi occhi saranno quasi all’altezza dei tuoi e allora ti guarderà spesso, ma una carezza rassicurante della tua mano gli basterà, come sempre. Non temere, non si accorgerà che lo stai tradendo. È impossibile: tu per lui sei Dio, sei tutto, sei – pensa un po’ – la vita.
L’iniezione non la sentirà nemmeno. Un ago sottile che penetra appena sotto pelle. Ecco, magari sarai tu a sentirlo pungere un poco più in profondo. Sopravviverai, stanne certo. Tu sì. E già, perché è difficile che, a te, qualunque punta veramente acuminata possa trafiggere quel muscolo detto cuore che ti serve solo per pompare ossigeno.
Lentamente lo vedrai perdere vigore ed assopirsi; non dovrai più trattenere i suoi capricciosi tentativi di scendere da quel tavolo scomodo e freddo. Poi si coricherà su un fianco e il suo respiro si farà lento, sottile. Così tu potrai pensare: “Si sta addormentando, non se ne accorgerà nemmeno”.
Che sollievo, eh? Beh, temo che dovrai reggere un attimo ancora di disagio, perché lui resterà semi cosciente più a lungo di quanto pensi. Sai, si sentirà debole e impotente e non avrà in corpo altra forza che quella di cercare ancora i tuoi occhi coi suoi occhi, come per chiederti la spiegazione di quello strano modo di sentirsi. Tu fagli un sorriso, tienigli sempre una mano sul corpo, digli qualche parola col tono che sai e si addormenterà quieto, d’un sonno profondo e senza sogni.
Da quel momento tu, il tuo cane, assieme al problema che rappresenta, l’avrai virtualmente eliminato. Di fatto, invece, lo perderai solo quando quell’uomo in bianco infilerà l’ago una seconda volta proprio nel suo cuore. Compirà quel gesto con un’espressione tirata perché non gli piacerà farlo, ma per allora tu potrai già avere tolto il disturbo.
Sì, te lo consiglio vivamente; vattene prima che finisca l’ultimo atto. Quando l’avrai ucciso, tu mandante, non troverai uno sguardo cordiale nel sicario che dovrai pagare. Ti ringrazierà malamente o non ti ringrazierà affatto. Paga alla segretaria, è meglio. Esci e ritorna a casa senza star tanto a pensare dove finirà quel piccolo corpo, tanto ormai non sarà che un peloso involucro vuoto, buono soltanto per l’inceneritore.
Casomai, durante il tragitto di ritorno, avvertissi una incombente sensazione d’assenza provenire da dietro la rete della giardinetta, non stupirtene: è la forza dell’abitudine. Questione di qualche giorno e non te ne accorgerai più; ti precipiterai solo a far togliere la rete divisoria che lei, peraltro, trova antiestetica e così fastidiosa per le operazioni di carico e scarico.
Lo vedi? è tutto qui. Come dicevo, non sarà così difficile. Quindi portalo a compimento da te, il tuo doloroso atto di sacrificio a favore della nuova pace familiare. Come ti raccomandavo poco fa, sii uomo fino in fondo. Abbastanza uomo da trovare anche il coraggio di sentirti, almeno per un attimo della tua stronza vita, quel bastardo traditore che sei.
Anna Antolisei