
In alcune delle nostre regioni pare che il referente fosse il carbonaio
In apparenza il Babau fa riaffiorare alla nostra mente una figura legata all’universo dei fanciulli, poiché, come molti ricorderanno, si tratta di una creatura immaginaria usata come mezzo per spaventare i bambini, quando ancora non era di moda il politicamente corretto. Tanti di noi lo temevano anche se non siamo mai riusciti a capire con precisione quale fosse il suo aspetto, che immaginavamo sulla base delle nostre paure e della nostra fantasia e forse eravamo propensi ad accomunarlo al più noto orco delle fiabe.
Non possiamo naturalmente negare che si tratti di una di quelle immagini forgiate per spaventare i bambini e priva di una fissità semantica, ma con funzioni ben definite: rapitore dei più piccoli. Ma soprattutto tormentatore e capace di produrre incubi di cui in qualche caso non è stato facile liberarci. Una brutta presenza che ricorda un po’ L’uomo della sabbia (1816) di E.T.A. Hoffmann (1791-1822) per i suoi risvolti inquietanti. Sigmund Freud (1856-1939) era particolarmente interessato a questo racconto – riferendone ne Il perturbante (1919) – in cui la madre del protagonista era solita adottare uno stratagemma per convincere i bambini ad andare a letto: se si fossero rifiutati, sarebbe giunto il mago Sabbiolino, che avrebbe cavato loro gli occhi per portarli in un nido posto sulla Luna, dove sarebbero stati divorati dai figli del mago, caratterizzati da un becco ricurvo come le civette. Uno sviluppo un tantino horror che, a quanto ne sappiamo, non ci pare abbia caratterizzato le performance del Babau.
Al di là di ricordi e di letture, resta il fatto che nella nostra misteriosa creatura riverberano influenze culturali atte a porre in luce relazioni trasversalmente presenti nel tempo e nello spazio, sorrette da archetipi atavici, inesauribili accompagnatori dei nostri desideri e delle nostre paure. Insomma ancora un’altra figura che è sorretta da atteggiamenti tipici del pensiero magico, attraverso il quale si dà sostanza a presenze impossibili, alle quali far riferimento per cercare di spiegare l’inspiegabile.
Nel dedalo della mitologia popolare ci imbattiamo in una vasta gamma di trascrizioni del termine, di origine sostanzialmente onomatopeica determinata dalla ripetizione del “bau bau”: Babao, Bao, Bau, Bobò, Boborosso, Buroburo, Bausette, Barabao, Barbi, Barabio, Barabiciu, Baobao, Babòia, Baubau, Bau Bau, Mamau, Maumau, Mau Mau, Maramao.
L’influenza del Babau potrebbe anche essere individuata nel più generico e moderno “Uomo nero”, la cui cromia apre un ventaglio di possibili identificazioni. In alcune delle nostre regioni pare che il referente fosse il carbonaio, un personaggio fisiologicamente nero per la sua attività, ma portatore di alterità, poiché per il suo lavoro doveva operare in aree isolate nei boschi.
Non sono mancate relazioni addirittura con le invasioni saracene (IX-X secolo): Babau/Baban/Babao deriverebbero “dall’arabo Babao/Baban (vincitore), come è confermato anche dalla toponomastica: troviamo il Col de Babao ad ovest della Garde Freinet nei pressi di Collobrières, il Passo del Baban alle sorgenti del Pesio e una borgata Baban vicino a Cavour (…) nelle Langhe ha nel dialetto un significato ben diverso: quello di insetto parassita” (G. Patrucco, I Saraceni nelle Alpi Occidentali, in “Bollettino Storico Bibliografico Subalpino”, XXXII, 1908, p. 373).
Giacomo Leopardi (1798-1837) ne accenna nello Zibaldone: spauracchio de’ fanciulli (…) a significare una persona o spettro”.
Ci viene in aiuto anche uno storico articolo contenuto nell’“Archivio per le tradizioni popolari”: “Il bau e il bau sette, pure è un essere misterioso che fa sta buoni i piccini. Il bau bau sette si fa quando ci si copre il viso con le mani, o con altro, e poi ci scopriamo quando si vede che il bambino ha paura” (1894).
Proviamo a cercare qualche altra traccia e così abbiamo modo di imbatterci nella raccolta di fiabe dei fratelli Grimm: infatti nella loro monumentale opera troviamo Messer Korbes. Una fiaba brevissima, che in alcune tradizioni italiane ha un titolo un po’ lontano da quello originale: Messer Babau. Come detto si tratta di una narrazione molto breve, in cui però non si dimentica di sottolineare che Messer Korbes era “uno cattivo”. Questa fiaba e la traduzione leggendaria locale non passarono inosservate a un autore italiano particolarmente sensibile al fantastico: Dino Buzzati (1906-1972), che al Babau dedicò il racconto omonimo e alcuni dei suoi dipinti.
Se proviamo a guardare con maggiore attenzione nelle fonti storiche, che certo non possiamo sperare abbiano dedicato molta attenzione al Babau, ci imbattiamo in una inaspettata scoperta: “Bestia immaginaria, biliorosa, chimera, Bao bao: far Baco Baco a’ fanciulli. È un certo scherzo per far paura a’ bambini coprendosi il viso” (Vocabolario Bresciano-Toscano, 1795). Questa informazione ci rimanda al Decamerone di Giovanni Boccaccio (1313-1375) in cui troviamo l’espressione “far baco baco”…
In un altro vocabolario più recente (1839) ecco un ulteriore chiarimento: “Babao, verso che si fa ai bambini per intimorirli. Brutto Babao. Viso contraffatto. Mascheron de fogna. Demonio” (Vocabolario Milanese-Italiano).
Il più recente Vocabolario della lingua italiana del 1887 ci ricorda: “Bau propriamente grido del cane. E anche voce usata per far paura ai bambini quasi significhi una cosa terribile come l’orco, la befana, ecc. Far bau bau, far paura ai bambini coprendosi il volto. Babau, mostro immaginario per fare paura a’ bambini: Zitti che non si venta il Babau se non, poveri voi!”.
Il Dizionario Treccani ci suggerisce un’assonanza: “babbèo, da una radice onomatopeica bab-; anche babbuasso e babbuino. Sciocco, semplicione, credulone: sei un gran babbeo!”.
Secondo la studiosa di folklore Lella Gandini: “La parola Bao viene tradotta in latino con Larvae-arum che ha significato di ombre notturne, anime malefiche, spettri; e nella sua forma Larva-ae significa maschera da teatro” (1975, p. 25).
Nella Francia di François Rabelais (1494-1553) troviamo “fare babou e giocare à la babou” e inoltre “una nutrice che minaccia il suo infante della baboue”; mentre, sempre in Francia, però di qualche secolo dopo: “Babou è non so quale fantasma immaginario di cui le nutrici di Languedoc e dei paesi vicini si servono per fare paura ai bambini o ai timidi e agli imbecilli (Larva umbratilis). Si chiama Babau generalmente tutto ciò che fa paura senza fare mai male” (Dictionnaire de Trevoux, 1700).
Non mancano poi legami diretti con il diavolo: nella Svizzera italiana è chiamato Barabáu; identico termine è usato per indicare il vento che sbatte porte e finestre. Mentre in Piemonte troviamo: Barrabán, Barbán, Barbáu, Barabíu, Barabiciu; nelle leggende delle Valli Valdesi vi è un folletto chiamato Barbariocciu.
Insomma, le peculiarità attribuite al Babau sono molteplici, anche se il suo ruolo dominante è quello di creatura negativa, atta a spaventare e forse a svolgere il ruolo di punto di fuga delle nostre paure più profonde, molte delle quali sono senza un volto preciso, proprio come il Babau, in un mondo in cui però le paure sono tante e con fisionomia fin troppo chiara.
© 2025 CIVICO20NEWS – riproduzione riservata
Scarica in PDF