A volte difficile coesistenza
Tra politica e magistratura c’è un annoso conflitto, sbagliato nei termini, la politica, almeno la parte che si crede più danneggiata, accusa la magistratura di essere politicizzata e sbaglia, perché a parte gli eroi che hanno sacrificato la vita per garantire e difendere lo stato di diritto vi sono numerosi magistrati che definirei eroi feriali, che quotidianamente cercano di combattere i crimini penali ed amministrativi nel rispetto delle leggi e nell’interesse dei cittadini, quindi non va accusata la magistratura nel suo insieme, casomai i singoli magistrati da soli o in concorso con altri.
Vediamo gli errori che inducono a pensare ad una politicizzazione: il primo è quello di essere difesi ad oltranza ed a prescindere dalla parte politica non indagata, che è poi quasi sempre la stessa, il secondo grave è che alcuni magistrati a volte non perseguono l’ipotesi di reato, ma la cercano ad personam con la speranza di trovarla, indagini che compaiono troppo spesso in prossimità di competizioni elettorali, in queste circostanze lo stato di diritto vacilla gravemente, terzo che le carriere e le destinazioni sono decise dal Csm, organismo la cui maggioranza è composta da magistrati designati prevalentemente dagli accordi tra correnti che poi decidono carriere e destinazioni, quarto l’assoluto corporativismo della categoria che pur critica al suo interno, mai dissentirebbe pubblicamente per non danneggiare l’indipendenza da ogni altro organismo.
L’indipendenza della magistratura è un caposaldo inviolabile di ogni vera democrazia, che però non deve essere utilizzato come scudo a copertura di errori o di comportamenti arbitrari o vessatori verso chiunque, il magistrato che sbaglia deve essere giudicato e sanzionato qualora colpevole e non riparato dietro la presunzione di indipendenza.
Un giorno un magistrato dichiarò “rivolterò l’Italia come un calzino” chi si esprime così come può essere obbiettivo nell’indagare o nel giudicare.
Dove era e dove è stato lo stato di diritto in tutti gli arresti arbitrari e reiterati per far confessare o peggio denunciare reati a danno del vero obbiettivo a cui si mirava? Un caso tra i tanti, Gabriele Cagliari presidente dell’Eni, durante mani pulite venne incarcerato nel mese di luglio il magistrato inquirente gli disse dopo l’ennesimo interrogatorio che lo avrebbe scarcerato, pochi giorni dopo cambiò idea anche se l’imputato aveva reso una confessione completa sui finanziamenti ai partiti.
Cagliari era un grande ed importante dirigente in quota Psi, mentre l’altro grande ente italiano era l’Iri in quota Dc, era la spartizione di allora tra i partiti di governo e la loro principale fonte di finanziamento occulto, situazione non limpida, censurabile e condannabile, che coinvolgeva quasi tutti i partiti non certo inventata o creata dai dirigenti degli enti, su Cagliari non sussisteva il pericolo di fuga o dell’inquinamento delle prove, infatti l’obbiettivo era il finanziamento dei partiti, nella fattispecie il Psi e Craxi, quindi il ripensamento del magistrato fu, a mio giudizio, inspiegabile e crudele, espressione di un potere assoluto e incontrollabile.
Cagliari pochi giorni dopo si suicidò in carcere, lo stato di diritto non solo non è questo, ma di questo inorridisce e si vergogna.
I magistrati devono essere consapevoli dell’importanza e correttezza della propria azione e che un loro errore o l’arbitrio, non possono essere sminuiti dalla presunzione di indipendenza, anzi l’indipendenza deve rendere l’eventuale errore ancora più grave.
Un medico che sbaglia è condannato non solo professionalmente, ma anche fortemente punito economicamente, il magistrato dietro un suo errore è raramente punito perché non si pensa che la possibilità di colpa possa frenare o condizionare la sua azione, come se un chirurgo mentre opera fosse condizionato dall’esito dell’intervento.
Ho scritto il magistrato, mai la magistratura la quale deve essere intoccabile così come il principio che rappresenta, ossia l’applicazione e il mantenimento dello stato di diritto.
I singoli che pensano di fare carriera derogando o perseguendo idee o simpatie personali hanno sbagliato impiego.
Vediamo in dettaglio alcune criticità: più del 40% delle sentenze di primo grado vengono ribaltate in appello, il principio è corretto, la percentuale è sbagliata; l’enorme numero di giudizi conclusi con proscioglimento “perché il fatto non sussiste”, come non pensare ad accanimenti ad personam di fronte a numeri tanto rilevanti, che comunque hanno irrimediabilmente rovinato carriere ed onorabilità.
Altro elemento criticabile è l’assoluto corporativismo, mai una voce discorde, solo nei casi di magistrati veramente indipendenti ed innovatori qualche tentativo di discredito e di contrasto c’è stato, come nei confronti di Falcone e Borsellino.
L’ANM, sindacato dei magistrati, a volte dimentica che l’indipendenza tra i poteri non vale solo per loro, anche i poteri legislativo ed esecutivo sono indipendenti e le critiche accese, esagerate come quelle sulla separazione delle carriere, a mio giudizio sono del tutto inappropriate, non solo perché in paesi sicuramente democratici già tale separazione esiste, ma per il rispetto che si deve agli altri organi.
Lo sdoppiamento del Csm e il sorteggio dei componenti dovrebbero indebolire se non evitare le correnti, e proprio i recenti scandali avvenuti dovrebbero consigliare prudenza nella critica.
Cambiare, non necessariamente vuol dire intaccare prerogative di indipendenza, soprattutto quando quest’ultima per alcuni è divenuta licenza.
Molti magistrati dovrebbero collaborare con la politica, così come fece Falcone e la politica dovrebbe tener conto dei loro consigli ed indicazioni.
Tra la politica e la magistratura ci sono gli italiani, un’eterogenea popolazione in gran parte influenzata dai media, abituata a tifare per questo o per quello, senza pensare in proprio, seguendo i capi popolo o il primo che compare in tv o che straparla nei social, più propensi a lamentarsi che ad operare, sempre pronti a seguire chi sembra offrire di più, altri disgustati non seguono nessuno ignorando che il qualunquismo può essere più corrosivo dell’insipienza.
Si abbattano i reciproci pregiudizi, si esca dal corporativismo e finalmente si inizi tutti insieme a lavorare per l’Italia con italiani più dignitosi e determinati, pronti a soffrire per non soffrire più.
Articolo che ogni italiano di buon senso e non accecato dalle ideologie dovrebbe condividere in toto… ovviamente il popolo della sinistra non vuole le riforme in quanto beneficia spudoratamente delle storture e della consapevole malafede di certi magistrati (che poi in futuro entreranno in parlamento proprio con la sinistra)