
Di Alessandro Mella
Nota dell’autore
Negli anni ’10 di questo secolo chi scrive fu autore di molte opere ed articoli relativi alla storia dei servizi antincendi italiani. Nel 2014, per ragioni personali, egli scelse di non dedicarsi più al tema e di non produrre, progressivamente, più testi ex novo. Il molto materiale prodotto all’epoca, tuttavia, fu caro a molti lettori, i quali hanno più volte espresso il desiderio di riaverlo fruibile. Alcuni articoli datati, dunque, vengono riproposti a loro beneficio confermando che, lo scrivente, non si occupa più, con nuovi studi, dell’argomento. Limitandosi a riutilizzare quanto scritto nel passato onde evitare che quel patrimonio vada disperso.
La città
Fu nel pomeriggio del 5 maggio 1936 che, a dorso di mulo, il maresciallo Badoglio entrò in Addis Abeba occupandola con le truppe italiane nel corso della campagna coloniale del 1935-1936. Il conflitto era stato sanguinario con violazioni delle norme internazionali da entrambe le parti ma finì per sancire il passaggio dell’Etiopia sotto il controllo italiano. Il governo nazionale vi investì miliardi di lire d’allora poiché Addis Abeba doveva svolgere il ruolo di capitale dell’Africa Orientale Italiana ed in funzione del piano regolatore del 1938 si avviarono una serie di rinnovamenti solo in parte realizzati a causa del successivo precipitare degli eventi. D’altra parte il clima salubre e mite, la fertilità delle sue terre e le discrete vie di comunicazione favorivano questo centro urbano malgrado la sua posizione assai elevata:
Addis Abeba (in amarico Addìs Abebà o Ababà=nuovo fiore) m. 2370-2465, c. 90000 ab., di cui 17301 italiani e 2443 stranieri (31 marzo 1938), capitale dell’AOI e sede del Vicerè d’Etiopia, è sparsa in un’ampia conca boscosa d’eucalipti appoggiata a nord alle alture di Entòtto e aperta verso sud sull’amplissima ondulata valle dell’Auàsc (bacino della Dancalia), a 10 km dallo spartiacque col bacino del Nilo Azzurro a nord, a non grande distanza dal bacino dell’Omo e in facile comunicazione col solco dei Laghi Galla e, per questo, con i bacini del Giuba e dell’Uébi Scebéli, la città è all’incrocio delle grandi vie naturali, al centro geografico dell’Impero. Occupata il 5 maggio 1936 dalla colonna Badoglio, la capitale (..) dei Negus si sta rapidissimamente trasformando, per opera dell’Italia, da informe agglomerato di capanne, di accampamenti abissini, di case di cicca e di negozi all’apparenza orientale in una città dalle ampie ariose vie, modernamente attrezzata alla sua funzione di capitale, di emporio commerciale e di centro industriale e a tutte le esigenze della vita civile. (1)

Aldilà di quella che può sembrare la banale retorica propagandistica del regime vi è da riconoscere che tali cambiamenti non si limitarono a slogan e parole al punto che lo stesso Negus Hailè Selassiè, al suo ritorno nel 1941 al seguito dell’esercito inglese, riconobbe che la capitale era stata totalmente rinnovata non mancando di manifestare la propria stima per il viceré, l’avversario sconfitto, Amedeo di Savoia duca d’Aosta. (2) Fu proprio la sua gestione quella più illuminata e costruttiva, improntata sul creare un clima di umana concordia tra gli abitanti della regione e mirata a costruire un avvenire nuovo per quella terra. (3)
Una politica che permise gradualmente di superare i cattivi ricordi del recente conflitto e di una primaria cattiva e severa gestione e che lo rese particolarmente amato e popolare anche grazie alla sua personalità umile, concreta e notoriamente scevra da eccessi.

Il servizio antincendi militare
Com’è noto risulta sempre abbastanza difficoltoso fare luce sull’organizzazione dei servizi antincendi nelle colonie e nei possedimenti italiani. Nel corso di molti anni di lavoro e ricerca ho potuto raccogliere notizie sparse e spesso sconnesse che, pur non dando una totale panoramica della situazione, permettono di iniziare a farsi un’idea di massima della stessa. Anche la capitale etiope basò il suo servizio antincendi sulle sezioni dell’arma del Genio opportunamente impiegate per questo scopo così come avveniva in altre città dell’impero. Sappiamo, ad esempio, che il reparto ivi operante fu comandato fino al luglio 1937 dal tenente Guido Borsanti e successivamente dal tenente Pietro Neroni. (4) Qualche notizia più dettagliata ci fu fornita dal periodico Coraggio e Previdenza in un articoletto della fine del 1938. (5) La sezione antincendi del genio di Addis Abeba risultava già sorta da tempo ed essersi via via migliorata dotandosi gradualmente di attrezzature migliori per prestare il proprio servizio in favore della comunità cittadina e del circondario. Anche perché la versatilità del reparto l’aveva portato ad impegnarsi non solo nell’estinzione dei roghi ma anche nell’ausilio alla Polizia Coloniale per servizi di viabilità qualora le strade si fossero trovate danneggiate da maltempo, nel soccorso stradale in caso di rimozione di veicoli incidentati, nel trasporto di ammalati e feriti agli ospedali prestando assistenza sanitaria e perfino nel trasporto e rifornimento di acqua potabile nelle aree ancora non raggiunte dai lavori di ammodernamento degli impianti idrici. Nel solo mese di settembre 1938 erano stati trasportati circa 280 metri cubi d’acqua. Ed è proprio il mese citato che l’estensore della nota indicò come riferimento per offrire un’idea del lavoro dei genieri:
Per illustrare il funzionamento della Sezione Pompieri prendiamo come dati di osservazione le cifre riassuntive di un mese di attività: il mese di settembre. Premettiamo che in settembre i casi d’incendio non stati rilevanti: ma in questa constatazione soddisfacente bisogna anche dar posto ad una giusta valutazione di quella che è stata l’opera di prevenzione antincendi svolta dai pompieri stessi. Riusciti a mettere in atto delle misure preventive i pompieri hanno affrontato in pieno il fenomeno di quegli incendi che numerosi si verificano nei mesi di maggio e giugno di questo stesso anno. Durante il mese di settembre vi sono stati infatti soltanto tre incendi: due dei quali riguardanti automezzi. Si potrebbe dire che durante il mese sul quale abbiamo fissata la nostra attenzione sia stata l’acqua a dar lavoro ai pompieri. Nei giorni di maggiore piovosità – come ad esempio nella giornata del 9 settembre- i pompieri hanno dovuto provvedere ad un servizio piuttosto faticoso: sgombero di detriti, prosciugamento di locali allagati, recupero di masserizie in abitazioni danneggiate dall’acqua. Interventi di notevole importanza, in conseguenza della pioggia, sono stati effettuati in Via Cassala, in Via Gondar, in Via Arimondi, alle Terme di Filoà, in Via Padre Reginaldo Giuliani. Per il loro lavoro i pompieri hanno avuto a disposizione due motopompe, quattro autocarri pesanti, un autocarro leggero e una scala aerea. (6)
I servizi e l’assistenza dei militi del Genio risultavano, quindi, essere particolarmente moderni e quasi in linea con la vasta ed eterogenea serie di interventi che oggi affrontano i moderni vigili del fuoco nella loro quotidianità. Se si considera il numero ridotto di uomini (il fatto che fossero comandanti da un ufficiale subalterno lascia supporre che non si trattasse di grandi numeri) ed una discreta limitazione di mezzi ed attrezzature poiché nelle colonie rifornimenti e risorse non erano sempre così puntuali (a maggior ragione dopo l’inizio del conflitto nel 1940) appare evidente quale preziosa presenza rappresentasse quel manipolo di soccorritori con le stellette. È ragionevole supporre che il servizio sia rimasto operativo e funzionante fino alla vigilia dell’ingresso delle truppe britanniche nella città inseguito alla sua caduta nel 1941. (7)
Al momento le ipotesi più probabili sono che la sezione si sia regolarmente ritirata al seguito delle altre forze italiane oppure si sia sbandata in seguito al precipitare degli eventi. Come vedremo qualunque sorte fosse toccata a quei militari essi lasciarono i materiali di loro dotazione là dove li avevano impiegati.
Il servizio etiope
Dopo il ritorno del negus in Etiopia la capitale si ritrovò priva di molti dei servizi che tanto utili si erano dimostrati precedentemente poiché basilari per un civile ed ordinato sviluppo di un centro urbano. La disponibilità di automezzi ed attrezzature antincendi, lasciate dai pompieri militari italiani, permise all’inglese Stewart di ricostituire un corpo antincendi che s’avvalesse di personale locale.

Di questa riorganizzazione ci offrì orgogliosamente qualche considerazione la rivista postbellica Antincendio:
Tra le tante opere e tra i tanti segni di civiltà lasciati dagli italiani in Etiopia, vi è anche il Servizio Antincendi di Addis Abeba, l’unico esistente in Abissinia. Chi conosce l’Africa ed il regno del Negus in particolare, sa con quanta facilità si sviluppano gli incendi tra le vecchie costruzioni di legno e paglia, i tucul, le baracche e tra la boscaglia che, nella stessa capitale, si stende appena fuori dall’abitato. Ma è pure noto con quale fatalistica indifferenza gli indigeni considerano il fuoco, gli incendi e le loro conseguenze. Distrutta una capanna od una qualsiasi cada d’abitazione, si provvede a farne una nuova con gli stessi materiali e la stessa tecnica primitiva.
Addis Abeba, nella sua qualità di capitale ha però esigenze speciali anche per la presenza di tanti stranieri. Al tempo della occupazione italiana il Corpo dei Vigili del Fuoco era stato organizzato con elementi italiani e con gli stessi criteri tecnici dei Corpi VV.F. del nostro Paese. Attualmente i VV.F. di Addis Abeba sono stati riorganizzati a cura del tecnico inglese Geoffrey E. Stewart il quale ha raccolto attorno a sé un contingente di giovani abissini e li ha addestrati al compito del servizio antincendi.

L’attrezzatura del Corpo è rimasta però quella lasciata dagli italiani ed infatti i Vigili etiopici usano ancora le pompe e gli automezzi di marca italiana i quali, malgrado il tempo trascorso e l’abbandono in cui sono stati lasciati nel corso degli anni immediatamente successivi al ritorno del Negus si dimostrano ancora efficienti. L’efficienza del servizio antincendio della capitale etiopica, da notizie pubblicate nella stampa inglese, sembra sia piuttosto buona e il fatto è tanto più importante quanto gravi e continui sono i pericoli di incendio in un paese in cui le costruzioni in muratura sono piuttosto scarse. (8)
Oggi la capitale etiope dispone di un più moderno e funzionale corpo di pompieri comunali alloggiato in una caserma recentemente edificata per ospitare il suo parco mezzi ed i circa trecento dipendenti che ne fanno parte e la cui opera garantisce quotidianamente il soccorso in questa affascinante città dalla lunga e vivace storia.
Alessandro Mella
NOTE
1) Guida all’Africa Orientale Italiana, Milano Consociazione Turistica Italiana, 1938, p. 476.
2) Amedeo di Savoia (1898-1942) fu un combattente e generale italiano, membro della famiglia reale, terzo Duca d’Aosta. Fu viceré d’Etiopia dal 1937 al 1941 quando, dopo un’eroica resistenza sull’Amba Alagi, morì in prigionia in Kenia. Amatissimo dalla popolazione e dai suoi uomini, riposa ancora laggiù tra loro. Fu decorato di medaglia d’oro al valore militare alla memoria.
3) “Si recava nei cantieri dove i lavoratori sopportavano fatiche, disagi, nostalgia per costruire strade, ponti, compiere bonifiche, edificare; visitava aziende agricole dove i conduttori si battevano tra problemi vecchi e nuovi e speranze. Raggiungeva comunità indigene che avevano aderito al governo degli italiani ed erano in attesa di benefici. Con tutti si intratteneva con naturalezza, ascoltava, conversava, dettava appunti al segretario, faceva superare la primitiva diffidenza e soggezione verso il grande capo straniero e subentrare stima e fiducia, infine il desiderio di un suo ritorno”. Amedeo di Savoia, di Edoardo Borra, Mursia Editore, Milano 1985, p. 103.
4) Ringrazio lo storico Gabriele Zorzetto per questi due nominativi.
5) Coraggio e Previdenza, (11) LXI, novembre 1938, pp. 128-129.
6) Ibid.
7) La seconda guerra mondiale, volume 3, di Winston Churchill, Arnoldo Mondadori Editore, 1965, pp. 1098/1109.
8) Antincendio, (5) III, maggio 1951, pp. 198-199.