
Popcard di Silvia Sperandio intitolata “Felicità”, collage e pigmenti su cartolina postale, del 2024.
Caro amico ti scrivo… Un contributo di Sonia Lotti
Caro amico,
ancora per una volta, vorrei scriverti, ma ora si tratta dell’argomento più celebre del popolo. Ti chiedo, esiste qualcosa di più sfacciatamente pop della felicità nostra e degli altri?
La felicità, ha meritato valanghe di analisi, studi e argomentazioni. Basta pensare a Seneca, che la definiva quale virtù o a Guillame Apollinaire che consigliava che, di tanto in tanto, è bene fare una pausa nella nostra ricerca della felicità ed essere semplicemente felici; bene, questo stato psico – fisico è proprio quello che indubbiamente vogliamo tutti, quindi mi pare pop a trecento sessanta gradi.
Ma mi chiedo, come si possa mai trattare questo argomento senza rischiare la banalità più grossolana. Ti domando anche; il trionfo della banalità, può avere qualche dignità in questo mondo? Onestamente penso che, a parte modesti contesti, il banale una sua dignità potrebbe anche averla ma, temo fortemente che non premi nessuno.
Praticamente, è quasi impossibile parlare di felicità, a meno che non si ricorra ad un’illuminazione improvvisa o ad un’immagine che la sintetizzi.
Azzardo senza timori, e sono convinta che lo stato di felicità abbia molto a che vedere con la tecnica del collage. Ma penserai tu, cosa c’entra il collage con la felicità? Proprio questa tecnica mi ha fatto tornare in mente un’artista eclettica e le sue opere a collage chiamate Popcards.
In contemporanea con la sua attività di giornalista di una testata economica, Silvia Sperandio da 30 anni, nel suo studio, ritaglia giornali e riviste, catturando immagini pubblicitarie e di attualità ormai entrate nel nostro bagaglio collettivo, e le incolla su cartoline postali trattate con pigmenti naturali, tempere, carboncino e tecniche varie.
Le Popcards di Silvia Sperandio sono state presentate in mostre milanesi e pubblicate da diversi giornali, dal Giorno al Corriere della Sera, a corredo di articoli dedicati a questi lavori. Queste cartoline pop trasmettono gioia e sono, in un certo senso, immagini emblematiche del concetto di felicità: sono infatti assemblaggi di minuscoli frammenti di carta, tra loro molto diversi, che, decontestualizzati e riassemblati, ritrovano insieme una nuova armonia di colori e forme.
Come piccole tessere di un mosaico, i frammenti coesistono nello stesso collage e tutti hanno un loro intrinseco significato. Esattamente: coesistono, ognuno con una forma diversa acquisendo un nuovo modo di stare insieme.
Così Silvia Sperandio scompone ritagli, figure, scritte e poi le ricompone cogliendo nuovi significati e nessi: e come ogni processo creativo è in grado di portarci, come scrive Carlo Rovelli, “un poco fuori dal nostro sonnambulismo abituale e far ripartire la gioia di vedere qualcosa di nuovo nel mondo”.
E noi ci siamo davvero risvegliati? Ci chiederebbe il Budda, ossia il Risvegliato per eccellenza.
Non è forse anche quando vediamo o comprendiamo qualcosa di nuovo e riusciamo ad armonizzarlo interiormente ed esteriormente che ci sentiamo felici?
E non ne restiamo anche spesso meravigliati? Potremmo distorcere il famoso Homo Faber fortunae suae e scrivere invece Homo Faber Felicitatis suae.
Quindi è abbastanza certo che la felicità sia qualcosa da spendersi o da inviarsi proprio come una pop card. Qualcosa non solo per sé stessi, come fosse invece una cartolina collettiva.
La felicità mi sembra qualcosa di collettivo e personale nel contempo e questo, se ci pensi, è quasi miracoloso.
Caro amico, ti chiedo, cosa mai ce ne potremmo fare della felicità se non la condividiamo. Questo tuttavia pone un annoso problema che Seneca ha ben considerato: «Non sarai mai felice finché ti tomenti perché un altro è più felice di te».
La felicità è uno stato umano contagioso. Elbert Hubbard, ci ammonisce dicendoci di non trattare la vita in modo troppo serio se no non ne usciremo vivi.
Quanto questa semplice affermazione corrisponda al vero lo capiamo soprattutto quando la vita si fa difficile. A volte ci propone bocconi amari, ma proprio durante la digestione del boccone scomodo, si innesca il contagio perché capita che ti arrivi un WhatsApp, magari come quello che ti ho spedito durante la pandemia di Covid 19, quando l’imperativo categorico proposto al massacrato gregge, era denominato Green – pass.
Se ricordi, si vedeva un bel ragazzo in maglietta bianca, jeans, occhiali da sole e muscoli ben scolpiti che, con le mani alzate, mostrava un cartello: “Rottura di cojoni” mi raccomando, rigorosamente con la j romanesca che un certo fascino lo suscita sicuramente anche tra i più educati.
E tanto per alleggerire l’argomento, ti ricordi un altro struggente dilemma che potrebbe perseguitare tutti fino alla fine dei propri giorni? L’Omino bianco del popolare detersivo che, in molti si sono chiesti ma, se è Omino bianco, perché è nero?
Magari moriremo tutti senza saperlo.
Tu potresti lecitamente rispondermi “E chi se ne frega!” questo dilemma forse ce lo chiariremo in una vita futura. Perché allora, ti chiedo, non occuparsi già da ora della felicità personale e collettiva e dei dilemmi piccoli o grandi che questa implica?
Ma chiedo venia per la mia domanda surreale, ma tu hai mai sentito qualcuno affermare: ”io non voglio essere felice?” Mi chiedo in tutta coscienza se esista qualcuno che desideri essere sinceramente triste?
E se questa tristezza fosse, indotta proprio da un sistema sociale e politico, di cultura e di informazione magari standardizzato o arrogante, sfibrante o marcio oppure ottuso magari indebolito o classista che felici non ci vuole affatto, e che, se ci sentiamo piuttosto corali e uniti, ci silura in gruppo o in gregge come meglio gli pare?
Quante pop cards di felicità dovremmo noi ritagliare, incollare scrivere e poi spedire? Sono convinta che la felicità non sia un fatto a se stante ma proprio come una pop card tenga insieme parecchi elementi, il supporto che contiene i ritagli credo debba essere la pace.
Come profondamente può esistere felicità se non c’è pace? Parlo di pace interiore e nel mondo. Quando le persone sono in pace sono felici, molto più felici. Un’idea di pace che si basi sull’infelicità e sul sacrificio di altri esseri umani non ha senso.
Auspicabile è costruire una pace in cui tutta la gente e tutte le razze, in ogni paese, possano godere di pace e felicità.
Per fare questo è necessario porsi di fronte alla vita con l’Idea che questo non sia solo un ideale vuoto ma diventi una determinazione personale, generale, nazionale, internazionale, mondiale, globale.
Mi pare una cosa seria pensare e condividere felicità, ritagliarla ed incollarla, riempire tutti gli spazi vuoti e dove si ritenga necessario colmare lacune distruttive o voragini di distorsioni, magari più semplicemente è bello colorare uno spazio bianco con un tocco di colore per armonizzare un quadro di felicità e renderlo migliore. Perché allora non occuparsi già da adesso della pace e della felicità personale e collettiva? Qual’ è il numero di cards della felicità che abbiamo spedito? Qui, sinceramente, la storia si fa un po’ più dura per tutti.
Giunta alla chiusa di questa breve pop hapiness letter, mi limito per forza maggiore, ad una concentrazione linguistica augurandoti: Bonheur, happiness, Yaku. Ti canto il ritornello di una canzone pop «don’t worry, be happy». e dulcis in fundo, una pop medicina, un magico refrain tra i più genuini della storia della televisione italiana «Allegria!» che, per come lo diceva Mike Bongiorno, di punti esclamativi ne aveva almeno una dozzina.
L’immagine di copertina è una Popcard di Silvia Sperandio intitolata “Felicità”, collage e pigmenti su cartolina postale, del 2024, per sua gentile concessione.
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