
Foto realizzata da Fabio Mandaglio
Pandora, la prima donna forgiata da Vulcano, bellissima, ha un nome che, dalla etimologia greca “pan” – tutto – e “doron” – dono, la rende portatrice di doni.
Zeus aveva affidato in custodia a Pandora un vaso, raccomandandole di non aprirlo mai; la dea cedette però alla curiosità e i mali contenuti presero a volatilizzarsi rapidamente. Ella richiuse il vaso in fretta, ma riuscì a trattenere solo “Elpis” – Speranza. Il resto si disperse sulla Terra e Speranza, rimasta sola nel vaso, mentre le sciagure si abbattevano sull’umanità, ereditò il compito di ritrovare e rendere agli uomini quel che di buono era scappato via. Nel mito, quindi, e poi nei proverbi popolari, consolatrice d’ogni afflizione per il suo contenuto di attesa di un bene, pur col timore che l’aspettativa potrebbe non realizzarsi e addirittura concretizzarsi in male, la Speranza è l’ultima dea cui affidarsi.
La valenza pagana della dea Speranza, come narrata da Esiodo, è però diversa da quella cristiana della virtù speranza, per la quale è certo che il buio si trasformerà in luce: la speranza, in fatti, come virtù teologale, non è ambigua e ha solo l’attesa del bene. “Attender certo della gloria futura”, la considera Dante nella Divina commedia; è quindi fiduciosa attesa del bene che verrà ed evoca sempre e solo il Paradiso, mai l’Inferno, sulla porta del quale una scritta, riportata dal nostro sommo poeta, atterrisce sull’uscio le anime dei dannati: “Perdete ogni speranza, voi che entrate”. La speranza, dunque, è il prezioso passaporto che permette di migrare fuori dallo sconforto e dalle avversità della vita. Senza speranza non c’è bene atteso, c’è solo disperazione.
Se ne parla molto da qualche tempo, per l’enfasi creata dal “Giubileo della speranza”, perfuso di religiosa cristianità, ma non c’è nessuno che non possa nutrire la speranza della risoluzione d’ogni problema, dei mille che gravano sull’umanità, di cui tutti facciamo parte. Il Giubileo 2025, pertanto, è messaggero di questa attesa certa, da tutti agognata, d’un cambiamento epocale che scuota dalle fondamenta il mondo, bisognevole di radicali sovvertimenti sociali, economici, sanitari, climatici; d’un cambiamento, inoltre, tale da riportare intesa tra le genti in guerre, che riguardano tanti direttamente ed altrettanti per tema d’esserne coinvolti da un momento all’altro.
Sono più di 50 gli scontri bellici in corso ed in questo Papa Francesco ha ravvisato la esistenza d’una “Terza guerra mondiale a pezzi”, espressione emblematica che ritorna nel titolo dei recenti libri di Matteo Carnieletto, Marco Orioles, Alessandro Rizzi e stigmatizza forse, uno per tutti, i grandi problemi afflittivi per i quali ognuno, partendo da quelli personali, spera nella certezza di una soluzione.
In questo contesto, per conseguire il proprio bene, può consolare anche la soluzione ambigua, offerta dalla dea Speranza, d’una attesa ansiosa, che potrebbe non sortire l’effetto positivo desiderato; ma più appagante è la speranza come virtù teologale, con la sua proposta di un l’attender certo, che va vissuto non con passivo ottimismo, ma con pazienza e con tenacia combattiva, per il raggiungimento della meta sicura.
Per Nietzsche la speranza è la “virtù dei deboli”, ma gli fa da contraltare Aristotele, per il quale, invece, è “il sogno di uomo sveglio”. Per Giuseppe Gristina, ricercatore nell’ambito delle cure di fine-vita, la speranza apre al futuro, ci obbliga a ricercare quello che oggi sembra impossibile e non dobbiamo spegnerla in noi né spegnerla negli altri, perché la speranza vive di comunione (*).
Papa Francesco, quando forse pensava già a questo Giubileo della speranza, nell’Udienza Generale del 28 dicembre 2018 pronosticò che la speranza “dà la forza di camminare nella vita” e in questa forza è bello credere oggi per il 2025 e per tutti gli altri anni che verranno.
Si vales, vàleo
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(*) Giuseppe Gristina – https://www.recentiprogressi.it/archivio/2848/articoli/28758/