
Malinconia e depressione, contrariamente a quanto si è sempre pensato, non sono affatto segnali di una inattività paralizzante, ma piuttosto di una pausa per una elaborazione creativa, un “reculer pour mieux sauter”. Il cigno è un simbolo di saggezza, di bellezza, di malinconia ed è in pericolo, in questo modo Joke J. Hermsen, nel suo nuovo libro, cerca di relativizzare il concetto drammatico del canto del cigno interpretato secondo il pensiero romantico.
Vero è che l’essere umano è un homo melancholicus, che conosce la perdita e la caducità e cerca di tramutarle in speranza e creatività ma l’autrice riflette su come e perché la malinconia, nel nostro tempo, non sembra essere altro che un motore per la depressione, gravando così pesantemente sulla popolazione mondiale. Si pensi qui, ad esempio, alla enorme quantità di antidepressivi di cui si fa uso in tutto il mondo. E benché la congiuntura economica accenni a una ripresa, l’atmosfera generale che si percepisce è negativa, e l’inquietudine e la paura dirigono la malinconia verso il lato oscuro dell’esistenza umana.
La malinconia influisce sul nostro temperamento diventando ambiguità e sembra preannunciare che la malinconia mette in scena e contemporaneamente stimola l’ambiguità della nostra natura. La Hermsen osserva che la malinconia comporta due aspetti opposti. Già all’inizio del Rinascimento era stato messo in luce il lato positivo e non depressivo, con la rivalutazione della malinconia contemplativa e creatrice operata da Ficino, congiuntamente alla irrefrenabile sete di conoscenza dell’essere umano del Rinascimento e alla difesa dell’essere umano creativo e creatore. Questo riferimento a Ficino è importante, essendo stato lui stesso molto sensibile alla malinconia, che associava all’azione di Saturno. Ed è proprio nei frutti della creatività che si riconosce la malinconia, soprattutto nell’arte.
Scrive la Hermsen che l’arte è malinconica per sua stessa natura e può suscitare in noi dei sentimenti di fiducia e di gioia. Questa fiducia ha a che fare con la bellezza, con l’appartenenza, con la commozione ma anche con la disposizione a riflettere sulla vita in un modo più profondo. Quale bellezza e commozione può offrirci la malinconia? In ogni caso si tratta di espressioni artistiche incompatibili con l’immagine dell’essere umano brillantemente positivo ed eternamente ottimista del Neoliberalismo.
La malinconia arricchisce la vita al di là della superficialità di una società alimentata principalmente dalla tecnologia e dal commercio. L’arte che ne risulta risponde al desiderio di dare forma o espressione a qualcosa che non è mai esistito o di cui si è perso il ricordo. L’opera d’arte può sopraffarci e in questa commozione possiamo riconoscere qualcosa di noi stessi, un sé che sembra appartenere a un passato perduto per sempre ma che tuttavia esiste ancora come una nostalgia, un’aspirazione. Così si può tornare a casa in un sé dove riposarsi e respirare dopo tutte le attività isolate e solitarie della vita, così l’autrice cita Lou Andreas Salomé, scrittrice, filosofa e psicologa russa, nata nel 1861 e deceduta nel 1937.
La Hermsen considera il sé un pre-ricordo che colloca, un po’ limitatamente, nell’infanzia. Ritornare al nostro vero sé non è un processo incondizionato, continua l’autrice, e una pratica importante e consiste nel mettere in atto l’oblio di se stessi, così l’amore può spezzare l’ego che trova quindi una morte sicura. Una volta infranti i limiti dell’io, l’amore appaga nello stesso tempo il desiderio di scendere nel sé interiore da cui era stato separato dopo il suo ingresso nell’ordine simbolico. E, citando le parole di Nietzsche, scrive: Ritorna, torna a casa dopo tanto tempo il mio sé, che così lungamente ha soggiornato in terre straniere, frantumato da tutte le cose e dalle circostanze.
L’autrice non collega soltanto l’aspetto creativo di questo vero sé alle condizioni poste dall’amore ma segnala ciò che chiama una situazione “kairotica”: l’arte deve cioè modellare la dimensione temporale per la coscienza, giocando col ritmo e la cadenza di frasi, immagini e suoni. Poiché è il tempo (Chronos) che risveglia la malinconia causando incessantemente l’inquietudine – e in quel momento Kairos (l’attimo giusto, opportuno) interviene a questo livello. Così la Hermsen sembra voler dire che solo l’arte può trasformare la coscienza utilizzando l’impulso che si trova in quel centro da cui si origina il tempo! La malinconia è quella pausa del respiro in cui si predispone il momento giusto per cogliere una nuova possibilità di trasformazione.
Il grande merito di Joke J. Hermsen è quello di aver indicato nella malinconia la probabile causa delle numerose depressioni nel mondo e di aver avuto il coraggio di affermare che la riflessione, la creatività e soprattutto la capacità di amare nella resa di sé possono essere una panacea e che la malinconia stessa può servire a questo scopo.
In un’epoca in cui appare chiaro che l’umanità ha oltrepassato in modo irreversibile i limiti della propria crescita, l’autrice ha l’ardire di criticare con forza la discutibile realtà socioeconomica che può causare così facilmente burn-out e depressione. Ella attira l’attenzione sul concetto della “speranza” di Ernst Bloch, il quale ha saputo formulare, nel secolo scorso, il Principio della Speranza, quale importante punto di partenza culturale umano. Infatti la direzione forse irreversibile di questa realtà socioeconomica nutre ininterrottamente un pensiero funesto. Questo modo di pensare ha un effetto paralizzante poiché l’umanità ha bisogno di speranza per non cadere in una modalità di finzione.
L’autrice non ha però sviluppato la sua analisi sui rapporti di finzione, rimozione e illusione in relazione con la speranza. Forse la creatività e l’amore nell’oblio totale di sé potranno sciogliere completamente la tensione…
Articolo tratto dalla rivista Pentagramma – Edizioni Lectorium Rosicrucianum
Scuola Internazionale della Rosacroce d’Oro
https://www.lectoriumrosicrucianum.it/
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