
I FRUTTI MARCI – Dalla falsa ragione all’antitradizionalismo di Mario Marchisio (parte prima)
SECONDA E ULTIMA PARTE
Chi pensa male vive male, e viceversa.
Il razionalismo, in alcune sue forme storiche, ha proclamato la supremazia assoluta della ragione e negato a priori che esista un ordine sovraindividuale o che sia possibile un’intuizione intellettuale pura.
Tali negazioni, osserva Guénon, se da un lato bloccano l’accesso a qualsiasi conoscenza propriamente metafisica, dall’altro comportano «il rigetto di ogni autorità spirituale, quest’ultima essendo necessariamente di origine sovrumana» (René Guénon, Il regno della quantità e i segni dei tempi, Adelphi 1982, da cui traggo, salvo diversa indicazione, le citazioni che seguono).
Questo tipo di razionalismo è in sostanza viziato da una semplificazione arbitraria, la quale, dopo aver scartato l’ambito sovraindividuale e trascendente, concepisce l’individuo stesso nella sola modalità corporea, finendo per limitarla ad un mero «aggregato di determinazioni quantitative».
Negare ogni principio superiore alla ragione equivale a mutilarla in modo irreparabile, poiché da un lato la si encomia e lusinga senza ritegno, dall’altro la si svilisce e deprime coll’isolarla dall’intelletto puro e trascendente, di cui è destinata in condizioni normali a riflettere la luce.
E questo mirabile strumento, ormai a brandelli, si ritrova con l’unica possibilità «di tendere verso il basso, cioè verso il polo inferiore dell’esistenza, ed immergersi sempre più nella materialità»; così facendo, la ragione «perde a poco a poco l’idea stessa della verità, ed arriva a ricercare esclusivamente» la strada più agevole per comprenderla in parte, trovandovi una ricompensa immediata proprio perché «tale tendenza verso il basso la conduce nel senso della semplificazione e dell’uniformizzazione di ogni cosa».
Per opera di Cartesio, padre ambiguo del razionalismo moderno, si è dunque inaugurata un’impresa fallimentare; e Thomas Hobbes, cui spetta il triste primato, assegnerà alla filosofia il compito esclusivo di studiare gli enti corporei (l’uomo e lo Stato), escludendo ogni altro oggetto dal suo campo d’indagine.
Dopo i primi correttivi proposti da Malebranche, il solo Leibniz potrà vantare il merito di essersi opposto in maniera davvero efficace agli errori e ai pericoli insiti nell’apparentemente “asettica” dottrina cartesiana, proponendo un razionalismo emendato ed equilibrato che non ebbe, purtroppo, validi continuatori.
Nel Regno della quantità, Guénon spiega in modo nuovo per quale motivo il dualismo cartesiano, già nella formulazione iniziale, recasse le stigmate del suo futuro involversi in chiave materialistica, fino a d’Holbach e La Mettrie.
Tutto questo, com’è noto, indipendentemente dalle intenzioni di Cartesio.
Da un lato abbiamo la confusione, che in Occidente è la norma, fra anima e spirito, considerati dall’inventore del Cogito alla stregua di puri sinonimi; dall’altro, il concetto onnìfago di «res extensa», la quale ingloba l’universo organico e quello inorganico (ad eccezione – per uno scrupolo? – del corpo umano).
Il passo finale non poteva certo essere rinviato a lungo. Cartesio, scrive Guénon, fece «entrare nell’ambito quantitativo la metà del mondo […] Il materialismo, a sua volta, ha preteso di farci entrare il mondo intero; si trattava solo di […] elaborare tale riduzione mediante teorie sempre più appropriate a questo fine», cui «doveva dedicarsi tutta la scienza moderna, anche quando non si dichiarava apertamente materialista».
Gravi sono le limitazioni di un pensiero che ritiene sovrapponibili in quanto identici lo psichico e lo spirituale.
È qui invece necessario rilevare che – attribuendo una dimensione esclusivamente quantitativa alla res extensa – si sbilanciava a favore della cosiddetta “materia” l’attenzione dei filosofi desiderosi di accogliere e garantire un esito il più coerente possibile alla fisica cartesiana.
Eppure Leibniz, sottolinea il nostro autore, aveva «messo assai bene in evidenza» il punto debole «di una fisica meccanicistica, perché questa, per la sua stessa natura, non può che render conto dell’apparenza esteriore delle cose, ed è incapace di spiegare alcunché della loro essenza vera; si può cioè affermare che il meccanicismo ha un valore unicamente rappresentativo e in nessun modo esplicativo».
Meditando sullo spazio fisico, Guénon formula, secondo la miglior tradizione anticartesiana, la sua riserva essenziale, che suona così: se Cartesio ha ridotto «la natura dei corpi all’estensione», doveva dunque «supporre che la loro presenza» non aggiungesse niente a quanto l’estensione era già di per sé, «e, in effetti, le diverse proprietà dei corpi» non costituivano per lui che «semplici modificazioni dell’estensione»; ma allora da dove potevano venire queste proprietà, se esse non erano «in qualche modo inerenti all’estensione stessa», e come avrebbero potuto esserlo «se la natura di quest’ultima fosse stata sprovvista di elementi qualitativi?».
Il materialismo, alla lunga, lascerà tuttavia filtrare nella mole compatta del proprio edificio gli spifferi della superstizione. Anzi, li attirerà.
Quando la botola che consente di interrogare il cielo viene chiusa e sigillata, non per questo le potenze del mondo inferiore rinunciano a scavare cunicoli e, dal basso, a invadere lentamente la roccaforte creduta inespugnabile.
La natura spirituale dell’uomo, per quanto conculcata, reagisce.
Il dramma, in questo caso, è che la reazione si sviluppa a partire da una visione distorta e dimidiata del reale: quella materialistica, appunto. Invano si sproloquia, da alcuni anni, di un ritorno della religione, di una rinascita della fede in Occidente.
Gli stessi capi religiosi sono così imbevuti di pregiudizi materialistici e relativistici da non poter più, non dico insegnare le verità di una tradizione, ma nemmeno crederle per un attimo tali nell’intimo della propria coscienza.
Per limitarci al solo Cristianesimo, sarà sufficiente dare uno sguardo alle vicende dell’esegesi biblica degli ultimi cent’anni per rendersi conto di ciò che affermo.
Il testo sacro, che da millenni giudicava i suoi lettori, è stato svuotato e sterilizzato ed ora giace come un insieme di parole morte che si finge di ossequiare per partito preso, dandosi l’un l’altro qualche pacca d’incoraggiamento sulle spalle.
Guénon aveva colto per tempo i segni di questa metamorfosi del materialismo. Sta di fatto che oggi è più facile trovare un teologo che riponga la massima fiducia nella parapsicologia, nella psicanalisi o negli Ufo, piuttosto di uno che creda nella realtà del peccato originale. E vi sono orde di biblisti che si sentono in dovere di non recare la minima offesa al dettato darwiniano sull’Evoluzione.
Adesso dunque l’uomo, non contento di interpretarla profanamente, giudica anche la Sacra Scrittura!
Ma se la realtà dello spirito umano viene condizionata dal divenire, ciò significa implicitamente negarne la caratteristica che più lo contraddistingue: la sua trascendenza.
Ciò che per compiersi deve evolversi, manca di assolutezza.
Fra l’immanenza dello psichismo animale e la trascendenza dello spirito dell’uomo non sussiste alcuna gradualità: si tratta di eventi incommensurabili. Sarebbe come sperare che da innumerevoli accoppiamenti fra persone particolarmente sensibili venisse alla luce un arcangelo!
Ci riflettano, se ne hanno tempo, i credenti che strizzano l’occhio all’evoluzionismo. Né vale nascondersi dietro la foglia di fico del «Dio ha infuso in una scimmia lo spirito, ed ecco un essere dotato di autocoscienza».
Questo, infatti, sarebbe comunque un miracolo, per quanto ridicolo e ridondante. Non vi sembra più sobrio, e molto meno cervellotico, il buon Jahvè che impasta un po’ d’argilla e vi soffia dentro la vita?
Quando il “mondo” in cui si vive entra in crisi, tutto sembra perdere di valore, sopratutto di quelli artefatti a scopi di potere. In questo momento storico esistono problemi che non si vogliono affrontare nella loro vera realtà, e allora vengono rivestiti di filosofia e di religione, posti a maschera della ragione e della realtà.
Abbiamo il problema del sopravvivere in uno spazio che si sembra ristretto, e per non affrontarlo con la ragione si sono impugnate le armi e non le parole, quelle che tutti possono capire nella chiarezza umana.
Cosa fare? Non correre dietro ad illusioni o a dotterie astratte, da chi non ha il vero problema, ma usare la propria mente e ragione per uscirne fuori, analizzare la realtà e cercare se esiste una soluzione senza ucciderci a vicenda.
Lia Cucconi