Un intreccio di interessi e progetti umanitari, di infernali miniere e bande armate in una bellissima regione dell’Africa
Da martedì 20 febbraio su RaiPlay Sound sono iniziate le otto puntate del nuovo podcast scritto e realizzato dalla giornalista Antonella Palmieri: “L’ambasciatore straordinario – Storia di Luca Attanasio”, l’ambasciatore italiano ucciso il 22 febbraio 2021 durante un’imboscata nella Repubblica democratica del Congo, assieme al carabiniere Vittorio Iacovacci e l’autista Mustapha Milambo, trucidati in una delle aree più suggestive e tormentate dell’Africa: la provincia di Goma.
Sono trascorsi tre anni da quell’imboscata. Oggi è tempo di ricorrenza: il 22 febbraio 2024, è ritornato su Speciale Rai 1 “Broken dream”, toccante filmato del 2021, dove la moglie dell’ambasciatore Zakia Seddiki ricordava l’opera del marito, mentre nel corso degli anni si è sviluppata una ricca letteratura, anche per svelare perché il convoglio attaccato “viaggiava senza scorta armata”. Enigma tuttora controverso
Dopo indagini che non hanno chiarito molte ombre di quei fatti, nell’aprile 2023 sei congolesi, descritti come membri di una banda criminale che voleva rapire l’ambasciatore a scopo di riscatto, sono stati processati per associazione a delinquere e omicidio e condannati all’ergastolo, ma molte ipotesi restano nel dubbio.
Il contesto geografico e minerario teatro dell’agguato
La provincia di Goma è un esplosivo crocevia di contrasti tra ricchezze e povertà; tra un sottosuolo zeppo di minerali necessari alle nostre occidentali futilità, e la miseria di un popolo nato dove la vita non vale un grammo di Oro, Cobalto o Coltan, elementi sempre più richiesti dal mercato dell’elettronica e delle auto elettriche.
Il sottosuolo della provincia di Goma abbonda di queste ricchezze. Secondo l’International Peace Information Service le miniere sono circa 2000, di cui un 50% controllato da avverse fazioni armate. Gli scontri sono frequenti e le ipotesi sull’agguato al convoglio di Luca Attanasio, a suo tempo ipotizzarono un sequestro o uno scontro tra ranger e bande ribelli, in uno scenario molto complesso.
Nelle miniere lavorano 200.000 africani, tra cui molti bambini, essenziali per la loro agilità nei cunicoli delle infernali gallerie dove si lavora senza attrezzatura, spesso a mani nude. Fratture e morti sono una normalità e in questa terra bellissima, la vita è scandita da un fatalismo surreale.
Lo sfruttamento delle risorse umane e minerali, gli scontri armati e la distruzione di un irripetibile ecosistema sono all’origine della filiera per rifornire l’industria della rivoluzione digitale; simbolo di progresso e occidentale vanità.
Chi lavora per 2 $ al giorno ignora la destinazione elettronica dei preziosi materiali. L’estrazione si svolge senza regole e lo Stato congolese non incassa neppure le dovute royalty dalla ricchezza svenduta.
Le bande armate e i negoziatori che governano il territorio, smistano i minerali in paesi confinanti da dove partiranno verso gli USA, l’Europa, la Cina e le multinazionali occidentali che sfornano i prodotti destinati al mercato globale
Le vittime delle bande armate che dominano nella provincia, fino al lago Kivu, nell’arco di un decennio variano tra i 10 e i 15 milioni, spesso gettati in fosse comuni, ma i responsabili restano impuniti.
Un genocidio testimoniato da Marie-Jeanne Balagizi nata quarantatré anni fa in una piccola città del Kivu al confine con il Ruanda dove la sua famiglia è stata decimata. Oggi vive a Torino, dove ha fondato il Forum africane italiane. In un recente convegno tenuto a Palermo, ha dichiarato: “Anche il nostro è un Paese invaso”, chiedendo la stessa sensibilità dimostrata nei confronti dell’Ucraina, denunciando una disparità di interesse dell’Onu per i diritti umani, tra Europa e Africa”.
In questo incrocio di interessi e di scontri armati, dove da decenni si consuma nel silenzio la Guerra Centroafricana, Attanasio, Iacovacci e l’autista Milambo, come sostenuto da Fabrizio Gatti in un articolo su “L’espresso” del 1 marzo 2021, potrebbero essere stati uccisi per un vago sospetto?
Nel pezzo si riportava che Attanasio era la quarta volta nell’arco di un anno, che si recava a Goma, per aprire un consolato da dove gestire l’opera umanitaria e rappresentare la presenza italiana. È verosimile che i movimenti di Luca Attanasio, pur intrapresi con nobile obiettivo, non siano stati apprezzati in quella regione d’Africa, dove lo spirito umanitario è poco recepito da chi pratica la legge del Kalashnikov.
Le associazioni “Mamma Sofia” e “Novae Terrae”
Lo scenario potrebbe essere anche più complesso. Fin dal loro arrivo a Kinshasa, l’ambasciatore italiano e la giovane moglie Zakia Seddiki si sono distinti per le loro attività umanitarie, soprattutto nell’assistenza alle migliaia di bambini di strada della capitale.
L’opera benefica intrapresa dalla coppia, avveniva tramite l’associazione “Mama Sofia”, sostenuta tra gli altri da Emanuele Fusi e dalla sua fondazione “Novae Terrae”. Un vecchio amico dei coniugi Attanasio, anch’esso coinvolto in opere umanitarie. Mecenate e industriale presidente della società mineraria “CDN Compagnia del Nord” con sede a Meda, oltre che proprietario della “West Africa Mining Company” e presidente della “GEA Environment and resources Co. Ltd” di Khartoum in Sudan, azienda esperta in Minerali rari, materie prime, sviluppo sostenibile, ecologia applicata ed esplorazione mineraria, che operava in quell’incrocio di interessi e di spari intorno a Goma, sui confini di Uganda, Burundi e Ruanda.
Tramite la fondazione Novae Terrae, Emanuele Fusi, raccoglieva donazioni e fondi a sostegno dei concreti progetti umanitari di “Mama Sofia” diretti agli orfanotrofi di Kinshasa, al finanziamento di una squadra medica mobile & di un’apposita ambulanza destinate ai quartieri degradati di Kinshasa; alla costruzione di un istituto infantile con un reparto maternità, concreta urgenza sanitaria.
Stabilito che è pratica comune avvalersi di fondazioni per operazioni finanziarie senza finalità occulte, secondo un’inchiesta della Procura di Milano, all’epoca, sui suoi conti della fondazione erano passati milioni di euro destinati a varie iniziative, non sempre collegate a destinazioni umanitarie.
Altresì le più o meno benefiche operazioni finanziarie di Novae Terrae non autorizzavano ad alcunché di negativo collegato all’attentato dell’ambasciatore italiano, né alle tragiche realtà che ancora oggi si verificano nella regione di Goma, a 10.000 km da Milano e a 2500 km di foresta dalla capitale Kinshasa. Terra di tutti e di nessuno.
Nel corso degli anni però, la mancanza di scorta armata al nostro ambasciatore, ha sempre rappresentato un enigma difficile da dipanare con una mentalità europea, spesso agli antipodi con una brutalità sospinta da interessi privi di ogni coscienza. Forse, un consolato italiano a Goma dava fastidio a qualcuno, forse a un faccendiere congolese, forse a qualche Stato straniero affamato di cobalto. Le ipotesi sono fitte quanto la foresta equatoriale che ne dissimula e ne custodisce agevolmente qualsiasi ambiguità.
Il convoglio di Luca Attanasio è stato bloccato su una delle poche strade che solcano quella lussureggiante e martoriata porzione d’Africa; un immenso altipiano formato da impervie colline, dormienti vulcani sepolti da una fitta foresta che si spalanca sul lago Kiwu, magnifico quanto tossico mare interno. Un paradiso terrestre dove si consuma un inferno disumano, teatro di troppi interessi incrociati.
I motivi che hanno decretato la morte di Luca Attanasio, di Vittorio Iacovacci e di Mustafà Milambo, restano quindi in attesa di un chi e di un perché del tutto convincenti. Questa breve indagine iniziata nel 2021, infine, lascia aperta ogni ipotesi, fermo restando che fino ad ora, stiamo parlando di una gran brava persona, caratterizzata da una generosa italianità di cui andar fieri.
Nel frattempo, il 3 marzo 2021, su quella stessa strada Rutshuru–Goma, veniva assassinato William Assani, magistrato che stava indagando proprio sulla morte del nostro ambasciatore. L’attentato si è consumato mentre ritornava da un vertice sulla sicurezza che si era svolto a Goma, assieme a un ufficiale dell’esercito, rimasto gravemente ferito. Dopo tre anni da quei fatti, anche questa coincidenza, tale resta.
Un fatto che davvero meriterebbe un approfondimento, mentre, come giustamente dice l’estensore dell’articolo, è rimasto nel dimenticatoio. L’uccisione di William Assani non può essere scollegata dall’attentato a Luca Attanasio. Una vicenda in cui il molto” non detto” prevale sul poco che è trapelato. E si sa che il tempo deposita sulle cose oblio e disinteresse. Difficile far riemergere le informazioni quando queste sono state volutamente taciute, i legami che sono stati ignorati, la verità insomma che purtroppo resta spesso sepolta insieme alle vittime. Grazie, Carlo ,per questo articolo che vuole riportare l’attenzione su un brutto episodio della nostra storia.