Lo scopo è quello di far diventare tutto il territorio circostante un centro sociale
Hanno suscitato una certa meraviglia, mista a indignazione, le dichiarazioni della neoeletta Ilaria Salis al parlamento europeo nelle file di AVS. La Salis sostanzialmente ha dichiarato che è giusto occupare le case sfitte, trattandole come giuste prede pronte per essere occupate da chi lotta per una politica rivoluzionaria e proletaria. E’ paradossale e contraddittoria la posizione della Salis, lei che proviene da una famiglia benestante e certamente non aveva nessun bisogno sociale per occupare. Tuttavia nessuna meraviglia, la Salis è coerente con la sua attività rivoluzionaria essendo una militante dei Centri Sociali che da sempre occupano.
Durante le vacanze ho incrociato un interessante studio di Salvatore Calasso, pubblicato dalla rivista “Percorsi” (“Selvaggi post-moderni”, n: 7 del giugno 1998). L’intervento si occupa dell’ideologia degli autonomi che si aggregano ai Centri Sociali. Nello studio ci sono alcuni passaggi che ci aiutano a capire l’azione politica di questi “bravi ragazzi” dei centri sociali, ormai presenti in tutte le nostre città italiane. Secondo Calasso queste aggregazioni giovanile (ormai diventati vecchi) rappresentano l’approdo del percorso della sinistra extraparlamentare iniziato nel 1968.
Una delle note caratteristiche dei Centri Sociali è la pratica dell’occupazione abusiva di un edificio o terreno. Si può leggere nel libro “Il Cerchio e la saetta: Centri sociali occupati in Italia”: “Il gesto dell’occupare è, nella logica dei centri sociali, molto importante. Perché un gesto di semi-illegalità […], ma che crea in sostanza una frattura netta inequivocabile con l’ordine dato, ovvero le istituzioni. E’ insomma, un gesto che dice: ‘noi ci riprendiamo ciò che non ci avete voluto dare. Ci poniamo sul piano dell’illegalità rispetto ad una legalità che non riusciamo più a riconoscere come nostra”.
In pratica lo scopo di ogni Centro Sociale è quello di far diventare tutto il territorio circostante un centro sociale. Pertanto, il cosiddetto squatter (come venivano chiamati negli anni ’80) è quello che vive in un luogo dismesso dalla società civile, occupato per sperimentare la libertà selvaggia (quella anarco-comunista), un tipo di vita senza regole e una società in cui non vi sia più ordine, gerarchia e autorità.
Si tratta di vivere contro la Verità presentando le proprie abitudini come liberatorie rispetto alle consuetudini naturali. Questi tipi umani, in maniera erronea, vengono presentati dai media come dei disagiati sociali, invece si tratta di un fenomeno che manifesta una concezione culturale dell’uomo e della vita.
A questo proposito Calasso riferendosi ad una lettera di un esponente di questi centri sociali, figlio di una famiglia benestante e dunque non emarginato, trovandosi finalmente in una manifestazione, dove ha potuto manifestare il proprio odio contro la rassegnazione delle generazioni precedenti, affermava: “vorrei che i centri sociali riuscissero a trasformare il nostro odio in forme permanenti di conflitto sociale che sovverta lo stato di cose presenti”.
Pertanto, precisa Calasso, “i centri sociali si rivelano sempre più una fucina di odio sociale, tesi a favorire una conflittualità permanente, con lo scopo di destabilizzare l’ordine della società”. Uno dei bersagli preferiti di questi appartenenti a queste aggregazioni è la polizia. “L’odio contro le forze dell’ordine tipico di questi gruppi rivoluzionari”, peraltro si tratta di una costante nel mondo della sinistra. Il professore Plinio Correa de Oliveira sosteneva che la divisa, che caratterizza le forze dell’ordine, con la sua semplice presenza richiama implicitamente ma visibilmente alcune verità odiate dai gruppi rivoluzionari.
“L’esistenza di valori superiori alla vita e per i quali si deve morire”, è contrario alla mentalità socialista, fatta di orrore per il rischio e per il dolore. I Centri sociali nascono da una cultura che fa riferimento al ’68 e al ’77. L’estrazione sociale borghese li accomuna. Calasso sostiene questa tesi perché si affida a una ricerca dove si evidenzia che soltanto 8,6% rappresentano i disoccupati all’interno di questi gruppi.
L’articolo di Calasso si sofferma sul tipo umano che frequenta i centri sociali, definendoli punk, con comportamenti radicali, intrisi di ribellismo anarcoide, antimilitaristi, ecologisti, animalisti anticlericali, ma anche antiamericani e multiculturalisti. La loro aspirazione è quella di raggiungere una società multirazziale. Sembrerebbe lo scopo delle varie Ong, le navi che “salvano” i migranti in mare.
Naturalmente tra gli scopi principali dei centri sociali è quello di sovvertire la Religione che viene odiata. Ci sarebbero altri fattori da evidenziare che caratterizzano questi gruppi, si pensi all’arte, alla musica, alla violenza e al vandalismo, i dipinti sui muri e le strutture private senza nessun permesso.
La lotta per i diritti dei “diversi” contro ogni ordine naturale.
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