Una figura non onorata abbastanza né durante la sua crociata contro il virus, né dopo la sua tragica scomparsa.
Senza limiti nella sua generosità, nel donarsi completamente alla cura dei suoi malati, nell’accettare di “prostituirsi ai mezzi di comunicazione” per poter fare arrivare al maggior numero possibile di persone la notizia di aver trovato la cura per la Covid 19, quando ci terrorizzavano con una narrazione per lo meno discutibile.
Direttore della pneumologia dell’ospedale Poma di Mantova, aveva dichiarato che per salvare una vita umana non avrebbe avuto problemi ad andare in prigione, perché “la vita è sacra e io sono cattolico praticante”.
Un uomo che nelle ultime interviste aveva un’espressione di dolore dipinta sul volto: non poteva credere a quello che stava succedendo intorno a lui, non era preparato alla perfidia umana di gente senza scrupoli.
Un uomo il cui suicidio ha reso possibile silenziare troppe persone.
Il plasma iperimmune, una trovata – a detta dei colleghi non allineati ai protocolli insensati degli “scienziati” – che era sotto gli occhi di tutti, ma a cui la maggior parte di loro non aveva fatto riferimento.
Lo ha confermato il professor Gianni Frajese, a Verona al convegno “La verità sotto le stelle”.
“Il professor De Donno aveva trovato l’uovo di Colombo, quella soluzione ovvia che stava davanti agli occhi di tutti ma a cui nessuno aveva ancora pensato.
La terapia con il plasma funziona per qualsiasi situazione in medicina: per il veleno del cobra, per l’Ebola e per altro perché una volta che gli anticorpi sono stati formati possono essere presi e utilizzati.
L’approccio della medicina “ufficiale” nel dire che una terapia che aveva sempre funzionato su tutto (naturalmente quello su cui poteva essere efficiente) all’improvviso non si sapeva se potesse fungere da rimedio, l’ho trovata l’ennesima perdita di lucidità e senso che la medicina ha avuto in questi anni.”
Già, oggi è piuttosto chiaro che di lucidità ce n’è stata poca e con il termine lucidità si sfiora l’eufemismo: i dati che stanno emergendo sono impressionanti e qui in Italia le cure per i danni sono negate. Francia e Germania hanno iniziato a dare qualche barlume di supporto.
“Gli attacchi che ha subito sono stati vergognosi e inqualificabili anche perché la terapia era basata su una cosa logica, ovvia e scontata: ha funzionato su qualsiasi altro virus dello stesso tipo per cui non c’era motivo di negare l’evidenza.
La sperimentazione adottata per negare l’efficacia della terapia è stata fatta in maniera fraudolenta perché una cosa è trattare il paziente con il plasma iperimmune nelle prime giornate della malattia altra cosa è – come nei protocolli di ricerca c’è scritto – darla in ottava giornata quando c’è la tempesta citochimica: in quel momento se si dà risulta ancora peggiorare la situazione perché il corpo, già pieno di anticorpi, nel riceverne altri complica il suo quadro generale.
Nessuno ne ha parlato perché bisognava leggere l’articolo e capire che c’era un trucco metodologico cioè era sbagliato il tempo di somministrazione del farmaco.
Nessuno ha guardato, nessuno ha detto niente per cui la terapia è stata distrutta sulla base di un inganno, di un artificio fatto dalla sperimentazione stessa.
Chi fa queste sperimentazioni, sbagliando la data della terapia farmacologica, lo fa non perché non sappia ma perché sta compiendo un falso ideologico, ben sapendo di farlo.
Il fatto è che avremmo potuto uscire subito, nel maggio 2020, da questi anni di follia ma la terapia era a costo zero per la popolazione, perciò non ci poteva essere.
Non ci manca molto che la verità, come diceva Montagnier, prenderà le scale e uscirà alla luce: non sarà bella come non è stato bello niente di tutto quello che abbiamo vissuto in questi tre anni. Qualcuno ha detto ‘La verità vi renderà liberi’ e quando sarà manifesta, la nostra società verrà trasformata davvero”.
C’è da chiedersi come uscire da questo gioco vizioso, se non allontanandoci dalla paura e vivendo con gioia. Infatti il professor Frajese continua a rincuorarci, con un sorriso contagioso…
“Se la gente tornerà a essere umana, se capiremo che da questa barca ne usciremo tutti quanti insieme o non ne esce nessuno, allora le cose cambieranno”.
Non sorrideva più il professor De Donno nel luglio di due anni fa: ma fra pochi giorni, nel suo paese natale, verrà ricordato da coloro che lo hanno amato, stimato e che ne hanno compreso il sacrificio.
Ri-cor-dare è azione del cuore ed è lì che vive la sua immagine per nulla offuscata da quanto è stato detto e fatto per far di-menti-care il suo troppo breve passaggio sulla terra fra di noi: ma le nostre menti non sono appannate e non hanno mai creduto al coacervo di menzogne su di lui.
Saremo presenti, chi fisicamente come il dottor Antonino Magistro del Comitato Pro Veritate e organizzatore insieme al professor Giuseppe Barbaro del Premio Giuseppe De Donno; chi con il pensiero, vicini con il cuore alla sua famiglia.
Siamo certi che, emergendo, la verità restituirà il dovuto a questo eroe, un uomo coraggioso per sua definizione “un medico di campagna, figlio di un carabiniere caduto in servizio e privo di ambizioni o di fama”.
La sua fama, invece, ha immediatamente attraversato l’oceano atlantico dove gli è stata riconosciuta la primogenitura della terapia: a tal proposito è bene ricordare che non si era inorgoglito personalmente, ma aveva dichiarato essere una vittoria italiana.
La sua immagine è rimasta come bandiera di onestà, umiltà, rigore, determinazione nonostante tutto e tutti i suoi detrattori: se il suo corpo non c’è più fra di noi, la sua anima grande aleggia ovunque ci sia desiderio di Libertà e ovviamente di Verità.
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