Luigi Cabrino: “Un affare da 68 miliardi di euro”
La morte tragica sul lavoro del bracciante agricolo indiano ha portato all’attenzione generale il tema del caporalato, pratica antica e, purtroppo, ancora molto diffusa in Italia.
Diverse istituzioni economiche, tra cui la CGIA di Mestre col suo Ufficio Studi, hanno pubblicato report sull’impatto economico del lavoro nero riconducibile alle diverse forme di caporalato.
Un volume d’affari annuo che ammonta a 68 miliardi di euro. Sono le cifre dell’Ufficio Studi della Cgia sul lavoro irregolare presente in Italia. E il 35% circa di questo valore aggiunto prodotto dall’economia sommersa è ascrivibile alle regioni del Sud. L’economia sommersa nel Paese coinvolge poco meno di 3 milioni di persone e il Mezzogiorno presenta la ripartizione geografica del Paese che presenta la percentuale più elevata: ovvero il 37,2% del totale. Tuttavia, il fenomeno ormai è esteso anche al Centro Nord e ha una presenza record soprattutto nel settore dei servizi alle persone (colf, badanti, ecc.).
Il tasso di irregolarità di questo settore raggiunge il 42,6%. Al secondo posto scorgiamo l’agricoltura con il 16,8% e al terzo le costruzioni con il 13,3%, osserva l’analisi.
“Da sempre il fenomeno del lavoro nero/forzato è legato al caporalato”,
sottolinea la Cgia, che spiega:
“Anzi, in moltissimi casi il primo è l’anticamera del secondo; non solo in agricoltura o nell’edilizia, ma anche nel tessile, nella logistica, nei servizi di consegna e di assistenza”.
Fenomeni di caporalato ai danni degli immigrati sono presenti da moltissimi decenni nell’Agro Pontino (LT), nell’Agro nocerino-sarnese (SA), a Villa Literno (CE), nell’area della Capitanata (FG) e nella Piana di Gioia Tauro (RC), rileva l’associazione.
“Senza contare che da almeno venti anni decine e decine di casi sono stati scoperti e perseguiti dalle forze dell’ordine anche nelle aree agricole della pianura padana”, aggiunge.
La quota più elevata di economia irregolare, “pari all’8,3% per cento, interessa la Calabria.
Seguono la Campania con il 6,9%, la Sicilia con il 6,6% e la Puglia con il 6,2% . La media nazionale è del 4,2%. Dei 2.848.100 occupati non regolari stimati in Italia dall’Istat, 1.061.900 sono ubicati nel Mezzogiorno, 691.300 nel Nordovest, 630.000 nel Centro e 464.900 nel Nordest.
Calcolando il tasso di irregolarità, “dato dal rapporto tra il numero degli irregolari e il totale occupati per regione, la presenza più significativa si registra sempre nel Sud e, in particolare, in Calabria con il 19,6%. Seguono la Campania con il 16,5% e la Sicilia con il 16 per cento Il dato medio Italia è dell’11,3%”, rileva ancora l’analisi.
“La tragedia che si è consumata la settimana scorsa nelle campagne dell’Agro Pontino è sicuramente figlia dello sfruttamento e delle pratiche schiavistiche praticate dagli imprenditori agricoli di quella zona”,
analizza la Cgia, spiegando che
“sfruttando lo status irregolare dei migranti, gli imprenditori coinvolgono i lavoratori senza garantire contratti regolari, pagando salari bassi e innescando una serie di problemi legati all’alloggio, ai trasporti e ai servizi sociali”.
“Tuttavia non va dimenticato che spesso queste condotte criminali sono indotte, non solo al Sud, dalla struttura del mercato agroalimentare che, spesso, è monopolizzata da poche imprese della grande distribuzione che continuano a spremere i piccoli agricoltori, che per rimanere sul mercato sono costretti a ridurre gli stipendi della manodopera, alimentando così ancor più il sistema del caporalato”
aggiunge la Cgia , che ricorda:
“Nonostante l’Italia abbia recepito la direttiva UE contro le pratiche commerciali sleali e le vendite sottocosto, la grande distribuzione continua a mantenere i listini fermi nonostante i rincari, mettendo in grave difficoltà tanti piccoli produttori”.
Luigi Cabrino
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