Duecentoquarantacinque anni e cinque mesi di carcere
A Radio Maria, nella consueta rubrica settimanale “Sette giorni nella Chiesa, in Italia e nel mondo”, Marco Invernizzi ha ricordato commentando un articolo che la Cina comunista di Xi Jinping, sta processando 45 attivisti pro-democrazia di Hong Kong, alla sbarra esponenti del movimento democratico che avevano manifestato nel lontano 2020, tra cui Joshua Wang e l’editore Jimmy Lai.
Duecentoquarantacinque anni e cinque mesi di carcere. Il braccio giudiziario del regime comunista di Hong Kong, teleguidato da Pechino, ha seppellito ieri il movimento democratico della città sotto una valanga di sentenze durissime, condannando 45 tra attivisti, giornalisti e politici per il reato di «cospirazione al sovvertimento del potere statale», con pene che vanno dai quattro ai dieci anni di prigione.
Naturalmente il processo dei 45 democratici, la maggior parte dei quali si trova in carcere dal gennaio 2021, è una violazione dei diritti umani e di azzeramento dei diritti civili a Hong Kong da quando la Cina ha introdotto a forza e in modo illegittimo la legge sulla sicurezza nazionale nell’ex colonia inglese.
«Il processo è una farsa», dichiara al settimanale Tempi Mark Sabah, direttore per il Regno Unito e l’Unione Europea della fondazione Comitato per la libertà a Hong Kong. «I 45 condannati non hanno violato alcuna legge. Hanno soltanto esercitato i propri diritti garantiti dalla Costituzione: libertà di associazione e di espressione». (Leone Grotti, Il regime a Hong Kong condanna la democrazia a 245 anni di carcere, 20.11.24 tempi)
Praticamente siamo a un vero e proprio “reato di democrazia”.
Tra le personalità condannate ci sono alcuni degli esponenti più in vista del movimento democratico di Hong Kong: il docente di Giurisprudenza Benny Tai (10 anni), uno degli iniziatori nel 2013 del movimento Occupy Central with Love and Peace per chiedere il suffragio universale; Joshua Wong (4 anni e 8 mesi), uno degli attivisti più giovani e noti dell’isola (nel 2020 ho recensito il suo libro, “Noi siamo la rivoluzione”); Wu Chi-wai (4 anni e 5 mesi),presidente partito democratico; la giornalista Gwyneth Ho (7 anni), diventata famosa per aver filmato l’aggressione ai manifestanti pro democrazia nella stazione della metropolitana di Yuen Long, dove anche lei è stata aggredita.
Tutti sono stati accusati di aver organizzato l’11 luglio 2020 le primarie del fronte pandemocratico o di avervi partecipato come candidati. L’obiettivo delle primarie, come in ogni parte del mondo, era quello di selezionare i candidati migliori per provare a ottenere la maggioranza al Consiglio legislativo nelle elezioni parlamentari che si sarebbero dovute tenere il 6 settembre di quell’anno.
Chiaramente queste condanne sono un messaggio ai giovani di Hong Kong
«Le autorità di Hong Kong vogliono far credere al mondo che queste 45 persone siano dei criminali, ma organizzare primarie non costituiva reato per la legge», spiega ancora a Tempi il direttore europeo del Cfhk, Sabah. «Queste condanne esorbitanti rappresentano un messaggio da parte delle autorità di Hong Kong e della Cina per tutti i giovani che ancora vogliono combattere per il futuro democratico della città». Ma è anche un messaggio a tutti i cittadini della città: «Se fate qualcosa che risulterà sgradita al regime di Pechino finirete in prigione oppure in esilio. I vostri diritti sono finiti, ormai comandiamo noi: arrendetevi, obbedite o passate il resto della vostra vita in carcere». In aula ad ascoltare il verdetto c’era il cardinale Joseph Zen ed ora tocca essere processato a Jimmy Lai, imprenditore dei media di Hong Kong e attivista che negli ultimi anni è diventato molto noto in tutto il mondo per il suo sostegno e la sua partecipazione alle proteste a favore della democrazia nella città, è accusato di avere cospirato contro il governo cinese per conto degli Stati Uniti e di avere diffuso idee sovversive attraverso l’Apple Daily, il quotidiano di cui era editore, chiuso nel 2021 a causa della repressione del governo cinese. Se giudicato colpevole Lai, che ha 76 anni, potrebbe essere condannato all’ergastolo.
Anche a Lai viene contestato il reato di violazione della legge sulla sicurezza nazionale, voluta nel 2020 dal partito comunista cinese e pensata tra le altre cose per consentire al governo della Cina di esercitare un maggiore controllo sulla regione amministrativa di Hong Kong e limitare la libertà di stampa.
La crocifissione di Jimmy Lai
Il 27 febbraio scorso sempre il settimanale Tempi aveva dato notizia di un dipinto di Gesù crocifisso, fatto da Lai, esposto nella cappella della Catholic University of America a Washington. Padre Robert Sirico, fondatore dell’Acton Institute, ha dichiarato che il quadro «testimonia non solo la battaglia di Jimmy Lai, ma quella di tutto il popolo di Hong Kong e di tutti i cinesi che, attraverso la fede, resistono all’oppressione».
Il fondatore dell’Apple Daily, è il simbolo della resistenza pacifica della popolazione dell’isola al regime comunista cinese. L’editore, convertito al cattolicesimo nel 1997, ha deciso di restare in città e di testimoniare con la sua vita gli abusi perpetrati dalla dittatura. Il figlio di Lai Sebastien intervistato da Tempi a Milano, ha dichiarato: «senza la fede non potrebbe esserci la sua lotta per la libertà. I principi che difende sono diretta emanazione della sua fede. E per la sua fede sta pagando più di quanto si creda: se non fosse stato cattolico, infatti, non gli avrebbero dato così tanti anni di carcere. Lui però sa di fare la cosa giusta e per questo il suo cuore è in pace. Non solo: continua a preoccuparsi per chi sta fuori dal carcere, nonostante la sua difficile condizione».
Un’altra figura rappresentativa della resistenza del popolo di Hong Kong è Gwyneth Ho, giornalista, condannata a 7 anni di carcere. In questi giorni Asianews pubblica una riflessione della giornalista in carcere dal 2021. Dopo un lungo silenzio, ieri sul suo profilo Facebook è comparsa una lunga riflessione che è riuscita a far uscire dal carcere perché fosse diffusa nel giorno della sentenza. Il blog del Pime pubblica ampi stralci. (Gwyneth Ho: ‘Le condanne non cancellano la verità su Hong Kong’, 20.11.24, asianews.it). “Abbiamo osato chiedere: la democrazia sarà mai possibile qui? La risposta è stata un giro di vite su tutti i fronti“. L’appello al mondo: “Difendete e riparate le vostre democrazie. Date ai dittatori autoritari un esempio in meno di fallimento e ai combattenti per la libertà un’ispirazione in più per continuare la propria lotta“.
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