Di Alessandro Mella
Uno dei fattori che contribuirono, in maniera decisiva, al consolidamento del potere dei Savoia fu il controllo dei valichi alpestri. Ma fin da prima della loro ascesa questo aspetto non sfuggì ai vari detentori di poteri e sovranità che imposero nei secoli il loro volere sul vecchio Piemonte.
Proprio per questa ragione fin dal medioevo si prese a edificare, talvolta sui resti di antichi castrum romani, strutture difensive sulle alture.
Tra Chiomonte ed Exilles già nel VII secolo fu innalzata una fortezza che poi, tra XII e XIV secolo, prese forma come struttura militare organica con mura, torri e difese fortificate al fine di vegliare su di un passaggio di fondamentale importanza:
Nel tratto tra Susa ed Oulx, e nella parte più stretta e scoscesa della valle stava la fortezza di Exilles posta quasi ai piedi del Monte Albino e sulla sponda sinistra della Dora. Era questo un luogo di molta importanza militare, imperrocché la Valle di Susa da una parte aveva troppo facile ingresso dalla Francia, e dall’altra conduceva direttamente a Torino. (1)
Collegamento rapido e pratico verso la vicina Francia al centro di costanti contese e scaramucce tra i Savoia ed i Borbone francesi. Per secoli il forte passò dal controllo degli uni a quello degli altri e viceversa:
L’antica fortezza di Exilles, dice il Casalis, fu per varj secoli in preda a diversi assedii soprattutto dalla parte dei Francesi , ed era tenuta ne’ secoli passati come una delle più importanti del Piemonte; torreggiava sopra una rupe isolata ed inaccessa ne’ suoi dintorni (…). (2)
Anche qui, come a Fenestrelle, primo fra tutti, il Duca Carlo Emanuele I, che in una tiepida primavera dell’anno 1593, assale coll’avanguardia del suo esercito la fortezza di Exilles, presidiata da soldati francesi e riesce ad impadronirsene riportandola in potere della Casa di Savoia, alla quale già aveva appartenuto per poche diecine di anni alcuni secoli prima (…). (3)
Nel corso del XVIII secolo, tra il 1681 ed il 1687, avrebbe trovato rifugio e prigionia tra le sue mura la celeberrima “maschera di ferro”.
Con il trattato di Utrecht i Savoia, ottenuta per Vittorio Amedeo II la corona regia, acquisirono definitivamente l’edificio facendo seguire rapidamente lavori di ammodernamento. Del resto, le logiche militare e difensive, in specie dopo l’arrivo della polvere da sparo e delle armi da fuoco, erano sensibilmente mutate. Occorreva, dunque, provvedere perché le difese fossero al passo con i cambiati tempi. E tali opere furono di tale importanza da fare del forte un bastione praticamente imprendibile e non aggirabile:
L’armatura difensiva del forte era un tempo considerata impenetrabile; un trattato francese di arte militare della fine del ‘700 dichiarava: «l’attaque d’Exilles est à present absolument impossible» e ne spiegava le ragioni. Tra queste la assoluta inaccessibilità delle scarpate di roccia che sorreggono il forte (…). Con Vittorio Amedeo II cominciano i primi lavori per difendere l’accesso alla valle di Susa mediante una grande fortezza e, sebbene non si conoscano molti particolari sulla entità e sul carattere dei lavori compiuti, a dircene il valore basta la testimonianza di uno storico militare francese del secolo decimottavo, il quale afferma: «Le projet de prendre Exilles a été trouvé impraticable en 1745». Infatti, nel 1745, durante la guerra della Prammatica Sanzione, i Francesi avevano assalito con 18 battaglioni e con molte artiglierie il forte di Exilles, presidiato dai soldati di Carlo Emanuele III, senza riuscire in alcun modo ad aver ragione (…). (4)
La smisurata, eppur armonica, struttura non è tuttavia quella originale e più antica poiché nel 1796, in forza del Trattato di Parigi siglato dopo la sconfitta del Regno di Sardegna contro la giovane Repubblica Francese, essa fu smantellata ed abbattuta. Quel che i giacobini non presero con le armi, lo presero con la pace forzata.
Solo con la Restaurazione essa fu riedificata per volontà di Vittorio Emanuele I a partire dal 1818 per raggiungere una sua completezza primaria sotto Carlo Felice nel 1829. Anche se lavori e migliorie furono praticate praticamente ininterrottamente per tutta la “storia operativa” di queste antiche mura.
Con il passare del tempo tuttavia, già nel Novecento, la sua utilità strategica venne progressivamente a diminuire facendo assumere al forte un ruolo di supporto logistico per l’accantonamento di materiali e truppe. E nel 1915, del resto, le artiglierie furono trasferite al fronte.
In seguito all’armistizio dell’8 settembre 1943 gli ultimi militari ivi presenti si sbandarono procurando così una lunga fase di abbandono e trascuratezza.
Solo nel 1978 il complesso divenne di proprietà della Regione Piemonte che ne fece un’interessante sede museale consentendone la tutela, il restauro e la conservazione.
La fortezza fu poi notata dal genio cinematografico di Mario Monicelli e dei suoi collaboratori che proprio ad Exilles vollero girare alcune scene del film, del 1984, “Bertoldo, Bertoldino e Cacasenno”:
Il crudele Alboino è giunto in Alta Val Susa per farsi beffare dal furbo Bertoldo; così il decrepito e leggendario forte di Exilles è diventato la reggia del rozzo monarca, alle prese con l’astuto bifolco e il figlio Bertoldino.
Con Ugo Tognazzi, Alberto Sordi, Lello Arena, Denis Roberts, Maurizio Nichetti, la troupe del regista Mario Monicelli, da alcuni giorni (fino a domani), sta girando nel «Cortile del Cavaliere» le riprese del film «Bertoldo, Bertoldino e Cacasenno», tratto dall’opera di Giulio Cesare Croce.
Così ì 200 abitanti di Exilles e delle frazioni affiancano come comparse la coppia più famosa del cinema comico. La sveglia è alle 6, perché ci sono i costumi, il trucco e le istruzioni da imparare, e diventare popolano o armigero dell’Anno Mille non si improvvisa. C’è Giuseppina Abba, pensionata del capoluogo; Libero Manfroni, conduttore di muli di Villarfocchiardo; Giovanni Abbà, contadino della frazione Cels; Nadia Agnetis, casalinga torinese; Stefano Capoul, studente di Meana, che alla scuola ha preferito i costumi del guerriero. Tutti concordano: «E’ una specie di gioco faticoso; poi vedere recitare questi attori era un’occasione unica». Dice Tognazzi: «E’ bello essere nelle rosse vesti di questo arguto plebeo – afferma l’attore cremonese – che si prende beffa del suo re buzzurro e dei cortigiani, con tanta arguzia e astuzia che la moglie diverrà persino dama di corte».
«Sarà una storia attuale – dice Mario Monicelli -, un racconto, nel quale, tra il suddito e il potere, il migliore è sempre il più povero, il più umile e ignorante. Tutto in un Medioevo anticonvenzionale. Nei prossimi giorni la troupe si trasferirà a Roma, poi in Turchia ed in febbraio la favola del furbo villano Bertoldo sarà già sugli schermi italiani. (5)
E grazie alle riprese d’allora il potente castello valsusino fu consegnato anche alle glorie ed alla memoria del cinema. Ma è soprattutto nel cuore dei piemontesi che esso vive con la sua sagoma austera. Monumento a memoria di quelle valli da cui mossero i primi passi verso l’Italia i grandi duchi e sovrani che concorsero a fare l’impresa dell’Italia una. Doveroso, ovviamente, è consigliarne la visita nel corso delle aperture estive!
Alessandro Mella
NOTE
1) Il Castello di Cavernago e i conti Martinengo Colleoni, Giuseppe Maria Bonomi, Stabilimento Fratelli Bolis, Bergamo, 1884, p. 163.
2) Corografia d’Italia, Editore Francesco Pagnoni, Milano, p. 723.
3) La Stampa, 249, Anno LXIV, 19 ottobre 1930, p. 2.
4) Ibid.
5) Ibid., 270, Anno CXVII, 15 novembre 1983, p. 21.
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